domenica 21 luglio 2019

Introduzione al Convegno sull'Architettura Organica del giugno 1997, di Adriano Conti



Adriano Conti

Introduzione al Convegno sull'Architettura Organica

del giugno 1997

 

PREMESSA
Questo documento ha la sola pretesa di aprire un confronto di esperienze e di pensiero sulla concezione organica dell’architettura ed è costruito semplicemente assemblando brani desunti dalle opere di studiosi autorevoli nel campo della storia dell’arte, della archeologia, della fisica e delle scienze umane in genere.*
Tutto ciò nel tentativo di ricercare ed evidenziare quel concetto di “Unità” tipico della concezione organica dell’arte in generale e dell’architettura in particolare:concetto di “Unità” che vedremo poi tornare più volte nei diversi campi nei quali si articola la complessità della visione unitaria finale.*
 
ESISTE UNA CORRENTE DELL’ARCHITETTURA MODERNA-CONTEMPORANEA DEFINITA ARCHITETTURA ORGANICA.
Dalla fondamentale opera di Bruno Zevi, Storia dell’Architettura Moderna (Edizioni Einaudi) sono stati estratti quei brani specifici che fanno riferimento all’origine ed alle caratteristiche del movimento organico in Architettura.*
Movimento che si è evidenziato in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi anni dell’800 e nei primi anni del ‘900 come nuova corrente culturale in Architettura che, per le sue particolarità, fu definita “ORGANICA”.
Già negli ultimi anni dell’800, primi del ‘900 negli Stati Uniti d’America, l’architetto Louis Sullivan cercò di arrivare al vero significato delle parole “Architettura Organica” per assurdo, indicando paradossalmente “che cosa l’architettura organica non significasse”.
Organico, egli disse, significa vivente, significa sviluppo e non, come nell’architettura americana trionfante intorno al 1900, “pietosa nella sua follia, funzioni senza forme, forme senza funzioni, dettagli non correlati alle masse, o masse che non sono in relazione che con la stupidità”.
Organico significava per lui “la ricerca della Realtà-Una, parola che io amo perché amo il senso della vita che evoca un implicito con dieci dita le cose”.
Successivamente anche Frank Lloyd Wright prenderà le mosse da analoghe considerazioni. Organico, insomma, significa, nel senso di Sullivan e di Wright, una protesta contro la personalità divisa e la cultura divisa. Si identifica con “l’afferrare la realtà con dieci dita”, con un processo in cui pensiero e sentimento si appressano al punto di coincidenza.
In Europa, la prima definizione ufficiale dell’Architettura Organica è dello svedese Sven Backstrom che, ripercorrendo l’evoluzione dell’architettura moderna nel suo paese, dopo aver delineato la mentalità meccanicistica imperante attorno al 1930 (ed oggi?), così procede:
“………Oggi anche i più sottili fattori psicologici cominciano a richiamare la nostra attenzione. L’Uomo e le sue abitudini, le sue reazioni, le sue esigenze sono al centro dei nostri studi assai più di prima. Noi cerchiamo di soddisfarle e di far sì che gli edifici servano veramente la vita. Desideriamo arricchire la vita dell’Uomo nella casa e nella città, renderla più bella affinché divenga una fonte di gioia……..”
In Europa l’atto di nascita del Movimento Organico in Architettura fu firmato non in Finlandia, ma nella vicina Svezia sempre negli anni 1930 da un architetto fino ad allora poco noto: Erik Gunnar Asplund.
L’esasperazione cui era giunta la poetica razionalista in architettura ed il diffondersi delle cosiddette “Architetture di Regime”, pose in maniera impellente il problema dell’umanizzazione dell’architettura moderna in Europa. Asplund preferiva valori intimi e persuasivi, un’immersione dell’architettura nella continuità paesistica, un tetto che dia un senso di contatto, di peso, di legame con la terra buona.
Questi architetti concordavano sul fatto che non si poteva raggiungere tale sintesi (sintesi delle giustificazioni parallele) pensandoci su e poi scrivendo un libro, un ennesimo programma di architettura moderna. Evidentemente no: come si dovette constatare  proposito del tentativo di Behrendt, la cultura architettonica si crea edificando: le chiarificazioni e le sistemazioni storiche vengono dopo, quando l’architettura esiste nella sua concretezza e si tratta, quindi, di caratterizzarla.
*Non si deve temere di cementarsi nella realizzazione dell’opera architettonica, qualora non si sia più che certi di disporre di un riferimento culturale-manualistico che ci possa garantire che ci possa garantire, fin dall’inizio, una qualche certezza di qualità artistica.
*Quando Leopold Infeld affrontava con Albert Einstein il problema di una preventiva certezza nella ricerca scientifica, Einstein era solito dire: “L’Uomo ha poca fortuna. Lo scienziato è come uno che spari le sue cartucce alla cieca e si stupisca quando indovina un colpo”.
Penso che analoghe considerazioni debbano valere per l’Artista, per l’Architetto.
Vicino ad Asplund, ma per altre vie, Sven Markelius contribuì alla svolta organica dell’architettura scandinava, mentre con il finlandese Alvar Aalto nuova organicità è raggiunta: nulla è più libero di per sé stesso;struttura, facciate, pianta finestre sono serratamene legate in nome di un tema unico, di una libertà che tutte le reintegra e determina; la libertà umana e quella spaziale entro la quale la prima si invera.
Ancor più precisa è una dichiarazione che fece Alvar Aalto negli Stati Uniti negli anni ’40:
“…….Se si potesse sviluppare l’architettura passo per passo, cominciando dall’aspetto economico e tecnico e continuando poi con le funzioni umane più complesse, allora l’atteggiamento del funzionalismo tecnico sarebbe accettabile. Ma questo è impossibile. L’Architettura non solo copre tutti i campi dell’attività umana, ma deve essere anche sviluppata contemporaneamente in tutti questi campi. Altrimenti avremo solo risultati unilaterali e superficiali.”
Ogni conquista tecnologica ed ogni risultato figurativo muovono in Aalto da una ricerca psicologica: non grandi teorie sel come l’umanità dovrebbe vivere, ma un profondo, solidale amore con i problemi concreti della vita quotidiana.
La sua indagine funzionalista è diretta non soltanto alle strutture ed alla disposizione degli ambienti, sebbene anche ai problemi psicologici, ai problemi di vita vissuta, alla storia che ci portiamo dentro.
Lo spazio interno dell’architettura trascende le quattro dimensioni e perciò anche la loro rappresentazione; non lo rende la fotografia che coglie tre dimensioni da un punto di vista, e nemmeno un film cinematografico che presenta la sequenza nel tempo di tre dimensioni da successivi punti di vista. Lo spazio interno non può essere appreso né dai disegni, nè dai bozzetti, né dalle fotografie, ma solo nella realtà dell’architettura.
Questo intento di concepire, di potenziare, di creare la cavità dell’edificio, quello spazio interno che è la sede della sua funzione sociale e, allo stesso tempo, il sostantivo più specifico dell’arte edificatoria, è il pensiero avanzato della storia dell’architettura nel mondo.
Ma erano prodotti nati da una stessa ricerca, da una stessa cultura, da una stessa decisione di abbandonare l’uso di tradurre meccanicamente teorie sociologiche e tipologie figurative in edifici, da uno stesso intento di umanizzare l’architettura imprimendovi il segno di una differenziata fenomenologia in n ime del primo requisito richiesto alla casa ed alla città:la sua “LIVABLENESS”, la possibilità di vivervi con grazia, con spirituale delizia.
In termini figurativi, l’Organico, come sarà meglio chiarito, si definiva in contrapposizione al geometrismo, agli standards artificiali, alle scatole bianche ed ai cilindri di tanta parte del periodo razionalista; in contrapposizione al “nudismo” del quest’ultimo che era scaduto in una paradossale forma di retorica a rovescio. A un interesse essenzialmente volumetrico, succedeva un impegno spaziale; al rettangolarismo, una pluralità di forme ondulate.
E’ a questa completa realtà strutturale e spaziale dell’edificio che il Movimento Organico presta attenzione. Ala proiezione dell’edificio nel complesso delle attività umane che vi si svolgono. Organico in quanto negli spazi interni dell’architettura ricerca la felicità materiale e spirituale dell’Uomo; organico perché estende questa esigenza dall’ambiente isolato alla casa, dalla casa alla città e dalla città all’ambiente. Organico era perciò un attributo che aveva alla sua base un’idea sociale, non un’idea figurativa; in altre parole, che andava riferito ad una architettura che volesse essere, prima che umanistica, umana.
Lo spazio – la somma delle relazioni tra l’uomo e il mondo che lo circonda – è il solo prodotto finale utile dell’edificio; la sua manipolazione costituisce la più grande sfida della composizione architettonica.
Nella scatola che ne risultava, furono compresse le attività umane. Ma oggi l’architetto può seguire il processo contrario, non ha bisogno di riempire una scatola, ma dallo studio delle esigenze umane può evolvere uno scheletro che permetta ad esse di funzionare più liberamente. Egli non usa lo spazio, lo crea.
In termini di spazio, la funzione stessa diviene forma. Einstein ha avvertito che “il fattore cruciale nello sviluppo di un’immaginazione scientifica è quello necessario a comprendere che la chiave del mondo fisico non consiste né nelle energie, né nelle particelle, ma nel campo spaziale tra le cariche e le particelle”, come poi avremo occasione di vedere nel libro di Leopold Infeld: Albert Einstein: l’uomo e lo scienziato.
Questo potente campo spaziale è anche l’essenza dell’Architettura Moderna che non può astenersi dal confronto con i traguardi raggiunti dall’evoluzione della scienza e della fisica.
Non possiamo sottovalutare quanto disse Frank Lloyd Wright: “Lo spazio interno è l’unica realtà della costruzione………anche il più accurato bozzetto di una costruzione è perciò inutile in quanto deve essere visto dal di fuori e da sopra, e non da dentro e da sotto...”
Da quanto detto fin qui, consegue necessariamente l’immagine di una fondamentale quanto essenziale “Unità” delle componenti prima dell’essere umano nella sua psicologia, emotività, passato storico e presente; poi del prodotto architettonico nelle sue funzioni, spazi interni architettonici, spazi esterni urbani ed ambiente: ciò caratterizza con forza ed in maniera in equivoca il concetto di organico in architettura, nella scienza e nell’arte.*
Acquisita quindi la legge razionalista, sorge conseguentemente il nuovo atteggiamento organico: il bisogno della scala umana, di spezzare la supercittà nelle sue comunità sociali, di favorire una vita più naturale e facile, una nuova istanza psicologica.
Conseguentemente ne deriva che l’architetto che non sia al tempo stesso urbanista è un assurdo paragonabile ad un medico che usi per curare i malati gli esorcismi della stregoneria, oppure l’alchimia tipica dei ragionieri dell’urbanistica, gli efficienti quanto dialettici applicatori di standards manualistici o legislativi.
All’inverso – e questo è un punto sostanzialmente non ancora del tutto acquisito – l’urbanista che non sia architetto è come un medico che curi i degenti in base ai libri e alle dottrine scientifiche senza esaminarlo, senza conoscerne l’individuale costituzione.
La nuova tendenza organica in urbanistica è di considerare il cittadino come una persona; un gruppo di uomini o di famiglie come una comunità sociale. Il problema da risolvere, come una questione qualitativa, oltre che quantitativa, con peculiari caratteristiche umane ed organiche.
Molti degli urbanisti europei, in particolare scandinavi, inglesi ed americani che si sono orientati verso la cultura organica, hanno sviluppato la loro formazione razionalista originaria nella sua traduzione organica.
Essi hanno armonizzato i principi dell’urbanistica razionalista con le esigenze umane. Una varia disposizione degli edifici, il gusto di seguire le accidentalità del terreno anziché tutto spianare, un appassionato studio paesistico, un nuovo rispetto della tradizione e del passato anche storico, un’avanzata tecnica del giardinaggio, la costruzione – del resto imposta per legge – degli edifici pubblici necessari ad ogni comunità sociale hanno largamente contribuito ad umanizzare l’urbanistica.
Invero l’architettura organica presuppone un’urbanistica organica, la fine della circoscrizione degli edifici dall’esterno. Il lotto del terreno non più semplicisticamente rettangolare significa uno sforzo in questa direzione liberatrice della casa: una maggior elasticità, più vaste possibilità di pensare, di determinare, di creare, insieme con gli spazi interni dell’architettura, gli spazi esterni dell’urbanistica.
L’Urbanistica Organica e l’Architettura Organica sono una ed una sola cosa: come è impossibile una casa organica in una città non umanamente pensata, così l’urbanistica che non derivi, che non cresca dall’architettura dei suoi spazi e dei suoi edifici è urbanistica meramente planimetrica, resta disegno a due dimensioni, è sovrapposta al terreno, è formula, regolamento, premessa, astrazione:le manca la vita e perciò l’arte.
 
LA NASCITA DELL’ESPERIENZA ITALIANA
Il terreno della discussione sull’architettura organica in Italia era stato preparato dal pensiero di Edoardo Persico e dall’interesse destato dall’architettura svedese e finlandese.
Agli inizi degli anni cinquanta, gli architetti moderni italiani da Torino, Venezia alla Sicilia si raccolsero in associazioni tese ad approfondire l’indirizzo organico: i razionalisti vi aderirono con la sola eccezione del gruppo milanese.
Che cos’era questa Architettura Organica per gli Italiani? In primo luogo essi accettavano una caratterizzazione risultata dalla discussione internazionale: l’Architettura Organica era un’architettura senza dubbio funzionale non solo rispetto alla tecnica ed allo scopo sociale dell’edificio, ma anche rispetto alla psicologia degli abitanti e degli utenti.
In secondo luogo, l’Architettura Organica significò lo svincolamento dal rettangolarismo e dallo quadrettato scatolame della maniera razionalista; una maggiore agilità di forme ondulate, insieme con un più ricco uso del colore e dei materiali naturali, sostituì il primitivo nudismo.
Ma anche davanti al tema compatto di un ospedale traumatologico, Giuseppe Samonà, ad esempio, poteva riesaminare integralmente il problema delle stanze di degenza……………
Nell’Unità Residenziale di Falchera, il Gruppo Astengo delineava con puntualità teoretica un elemento edilizio ad “U” aperta che non solo compone variamente gli spazi esterni, ma garantisce il continuo rimando visivo dall’uno all’altro.
Marcello d’Olivo, architetto friulano, non può certo venire escluso dal movimento organico: al contrario la contestuale presenza nella sua architettura di una emotività sia consapevole che inconscia, trattate a pari livello di dignità e ruolo nella composizione architettonica, pone la sua produzione all’avanguardia nell’Architettura Organica. La sua capacità di recepire l’organicità delle emozioni profonde, ascoltarle ed assecondarle dando loro il ruolo di chiave della armonica fusione tra emozioni indotte dall’ambiente esterno ed emozioni prodotte dal contenitore architettonico, porta ad esempi ad esempi di Architettura Organica di rara intensità emotiva ed emozionale.*
 
IL CENTRO DELL’ARCHITETTURA ORGANICA: L’UOMO
Ho voluto proporre un’immagine dell’essere umano, che la concezione organica dell’architettura pone al centro del processo architettonico nella sua unità psico-fisica, storica ed emotiva, estraendola, direi quasi tecnicamente ed asetticamente, da un’opera fondamentale per la preistoria Europea, quella di Stuart Piggot: EUROPA ANTICA.
Di seguito vengono riportati periodi integralmente estratti dall’opera del Piggot, nella loro concatenazione originale: ne potrete riportare, che piaccia o no, una realistica quanto appassionata e disincantata immagine di quell’essere che assurge a protagonista della conquista dell’ambiente e dello spazio: l’Essere Umano.
Dice il Piggot:
“Abbiamo perso la fiducia del secolo diciannovesimo, e siamo figli di un’età del dubbio. Ma non è soltanto questo che ci ha spinto a rivedere le nostre opinioni sulla natura della ricerca storica, né la facile presunzione che dobbiamo per forza saperne di più dei nostri avi. Le nostre idee si sono imbevute dei concetti dello scienziato e non ci scandalizza l’estensione del concetto di relatività a sfere diverse da quella per la quale Einstein lo aveva pensato”.
Va aggiunto poi che noi interpretiamo la documentazione alla luce del nostro bagaglio intellettuale, condizionato com’è dall’epoca e dalla cultura nella quale ci siamo formati, dal nostro ambiente sociale e religioso, dalle nostre ipotesi e pregiudizi correnti e dalla nostra età e posizione sociale. Non sono molti quelli che hanno affrontato questo dato di fatto con l’onestà di Osbert Lancaster, il quale scrisse nella prefazione del suo libro: “I miei criteri politici, architettonici e scenici restano fermamente anglosassoni e i metri di giudizio sono sempre quelli di un anglicano laureato ad Oxford, dotato di gusto per l’architettura, divenuto vignettista, che sta per raggiungere la mezza età e che vive a Kensington”. Confessioni di questo genere darebbero un largo contributo alla nostra comprensione delle opere di storia.
Cominceremo le nostre ricerche in un’antichità di molto precedente alla scrittura, circa diecimila e più anni or sono dove però, l’uomo stesso à già molto vecchio. Era emerso come specie diversa forse due milioni di anni prima, e una delle sue maggiori peculiarità, che lo distingueva dalle altre specie, consisteva nel fatto che, rispetto ai comuni “metodi biologici di trasmissione ed evoluzione” il suo cervello si era talmente sviluppato che “lo aveva provvisto di una seconda forma di eredità fondata sulla trasmissione dell’esperienza, e lo aveva spinto verso una nuova fase di evoluzione fondata sulle idee e la conoscenza”. Queste sono parole di Sir Julian Huxley, il quale prosegue mettendo in rilievo come questa utilizzazione da parte del cervello della “materia prima della sua esperienza soggettiva” dia luogo ad una evoluzione “psicosociale” che ci ha reso capaci di molte cose delle quali nessun altro animale è capace: riflessione consapevole, concetto della propria personalità, della morte e del futuro in generale: abbiamo la capacità di formare progetti consapevoli che possono essere tradotti in azioni”.
Nel periodo dell’antichità passato in rassegna in questo libro, “la guerra, la brutale soppressione dell’uomo da parte dell’uomo, da una classe da parte di un’altra classe, di un sesso da parte dell’altro sesso, di un gruppo di coetanei da parte di un altro gruppo di coetanei, di una tribù da parte di un’altra tribù, sono inseparabili dalla civiltà del villaggio preistorico così come sono impliciti nell’organizzazione di tutte le civiltà urbane evolute fino ai nostri giorni”.
La formazione delle comunità umane e delle unità sociali, dalla più elementare banda di cacciatori fino alla più complessa civiltà, è un processo di inibizione e di canalizzazione degli istinti naturali nel quadro della struttura sociale considerata desiderabile nei singoli casi, e nella maggioranza delle società. L’aggressività e la guerra hanno rappresentato un ruolo, maggiore o minore. Il motivo ricorrente della storia e della preistoria è “l’istinto al dominio dei propri simili, alla difesa di ciò che ciascuno considera roba sua, ad accoppiarsi, a mangiare e ad evitare di essere mangiato”. Negli intervalli tra queste attività fondamentali ed assorbenti, l’uomo ha esercitato le sue emozioni, la sua immaginazione e, meno frequentemente, il suo intelletto.
Le idee e le convinzioni delle società innovatrici ci sono familiari perché, per quanto accada in questa o quell’epoca, di rifiutarne in tutto o in parte le dottrine, ne siamo comunque il prodotto. Ma non dobbiamo cercare molto lontano, anche nelle isole britanniche, per trovare delle comunità conservatrici dove una indifferenziazione di comportamento, se associata ad idee non sanzionate da una lunga tradizione all’interno del gruppo, è difficile e pericolosa. Nulla può compensare l’alienazione dell’individuo dal suo gruppo: se le sue nuove idee avranno successo sarà oggetto di invidia; se falliscono sarà oggetto di ridicolo.
Questi schemi di comportamento, atteggiamenti mentali o emotivi, convenzioni percettive, possono ricorrere frequentemente in molti tipi di società, o possono apparire raramente: una comunità, ad esempio, può tenere in gran conto la solidarietà del gruppo o il ricorso alla guerra al fine di ottenere la dominazione di una certa religione o di un credo politico: un’altra privilegiare il valore unico dell’individuo solitario e contemplativo che rifugge dall’uso della forza. Una volta isolato, tuttavia, il complesso di caratteristiche culturali prescelto, viene proclamato essere il reale contenuto della civiltà e con questo altri complessi vengono messi a confronto, solitamente a loro detrimento.
Gran parte del nostro pensiero su tale soggetto ha inevitabilmente risentito del desiderio di individuare uno schema di progresso nella storia dell’umanità, mediante il quale una ininterrotta eliminazione lungo i secoli dei suoi meno piacevoli attributi avrebbe preparato la via ad uno stadio finale e inevitabile di ordinato benessere.
Ho già detto che non mi trovo d’accordo con questi ideali fomentati dagli ideali del diciottesimo secolo, che trovò uguale espressione nella dichiarazione di indipendenza americana e nel manifesto comunista. Per me, lo studio delle società illetterate dell’antichità ha un valore non solo per calcolarne il contributo alle civiltà passate e presenti, m< perché noi siamo eredi loro tanto quanto i popoli più onorati.
Come ho detto in un altro contesto:
“Noi ereditiamo una gran quantità di atteggiamenti mentali inconsci che risalgono non solo alla Grecia e a Roma, non solo a Ur e a Menfi, ma ancora più indietro ai cacciatori e pescatori delle età glaciali. Ciò che ci piace chiamare il nostro pensiero può essere condizionato nella stessa misura dalle paure e pregiudizi del cacciatore di mammut o del contadino neolitico e delle aspirazioni religiose dei primi semiti e dal pensiero speculativo dei Greci……………..La nostra progenitura non comprende solo Platone e il Nuovo Testamento, ma anche il sudore di sangue dei riti magici dell’Età della Pietra e i terrori irrazionali del mondo degli sciamani e dei veggenti”.
Il Prof. Gravame Clark nel 1943 scriveva:”Per i popoli del mondo in genere, oso pensare che l’uomo paleolitico riveste un maggior significato che non i Greci”.
D’altra parte il Prof. Rhys Carpenter sostiene che “la bimillenaria superiorità dell’Ellenico lo renderà poco disposto ad ammettere che qualsiasi progresso fatto dai suoi barbari colleghi delle terre settentrionali possa portargli un qualche insegnamento”.
Riprendendo dal Clark il concetto dell’importanza che riveste per noi, uomini d’oggi, l’eredità culturale-emotiva dell’uomo paleolitico, più che quella dei Greci e dei Romani, e richiamando il Piggot dove afferma che il nostro pensiero è ugualmente influenzato dalle paure e pregiudizi del cacciatore di mammut o del contadino neolitico e dalle aspirazioni religiose dei primi semiti e dal pensiero speculativo dei Greci, risulta di grande interesse andare a visitare le consuetudini insediative delle popolazioni preistoriche europee ed individuare le tipologie su cui esse si possono articolare.
Sempre dal Piggot rileviamo, tra l’altro, che i forti collinari celti, con bastioni o mura di pietra, contengono abitazioni di forma a volte rettangolare od ovale, ma prevalentemente circolare, come nella contemporanea Britannia.
Che la Britannia Celtica mantenne un arcaismo in quel fondamentale elemento della cultura umana che è la casa, questo non è tutto. Fin dai più antichi insediamenti che riflettevano tradizioni continentali Halstatt in Britannia – in altre parole fina dall’inizio dell’età del ferro – in queste isole la tipica unità di insediamento non è il villaggio, ma la fattoria isolata, fondata su di una grande abitazione circolare.
Ora queste fattorie isolate sembrano praticamente sconosciute nell’Europa di Halstatt o La Tene; né esse compaiono, seppur marginalmente, perché l’Europa Settentrionale e la Scandinavia ci mostrano, in quest’epoca, villaggi ed abitazioni rettangolari, che precorrono quelli del periodo migratorio postromano, degli Anglosassoni e dell’Europa medievale in genere.
 
  
 
 




 
   
 
LE FORME INSEDIATIVE NELL’EUROPA PREISTORICA
Possiamo ulteriormente integrare ed approfondire quanto sin qui detto, ricorrendo ad un altro insigne studioso della preistoria europea, il prof. Gravame Clark nella sua opera “EUROPA PREISTORICA” (Einaudi 1969) nella quale, a proposito delle case e dei villaggi dell’uomo preistorico europeo, dice tra l’altro:
Le prime abitazioni artificiali di cui finora sono state ritrovate tracce, sono quelle della Russia Meridionale. Qui le caverne erano limitate alla Crimea ed al Caucaso e di cacciatori di mammut del paleolitico superiore furono costretti a costruirsi le loro case.
Di norma le abitazioni sono situate sulle rive di un grande fiume: alcune erabo riapri simili a tende, ma altre erano vere e proprie case di terra.
In generale le abitazioni di Timonovka sono simili alle case contemporanee della regione circumpolare, ad esempio a quelle dei Camciadali della Siberia nord orientale, disposte lungo le sponde di un fiume, con pianta rettangolare allungata, pareti di legno e il tetto ricoperto di detriti.
Nell’Europa Mesolitica ci sono parecchie tracce di capanne, ma solo poche piante sono del tutto soddisfacenti. Parte di una capanna irregolarmente ovale, portata alla luce su un basso terrapieno del fiume Lopau a Bockum, distretto di Lunenburgo, Hannover, sembra fosse costituita da rami piantati nel terreno riuniti insieme alla sommità.
Dai tempi più remoti le rive dei laghi e dei fiumi, hanno attratto le comunità umane e non fa meraviglia che bande di cacciatori hamburghiani e ahrensburghiani abbiano scelto di accamparsi durante l’estate sui laghi e sugli stagni formati dallo scioglimento del giacciaio sotterraneo delle valli glaciali a galleria dello Schleswig-Holstein.
Più ad ovest i contadini neolitici della pianura di Foggia in Puglia (Italia) scavano fossati circolari o semianulari entro recinti più grandi, ma non si è ancora trovata alcuna traccia delle loro case vere e proprie.
Si è affermato nche nella penisola iberica esistessero case circolari neolitiche, ma manca ancora una adeguata documentazione a proposito. Si può citare il ricco reperto di Fontbouisse nel Comune di Villevieille, Grad, dove insieme a capanne irregolarmente quadrate se ne trovano altre rotonde…..
Inoltre in questo periodo (Tessalico B) considerazioni di sicurezza rendono necessario difendere il cortile interno, come a Dimmi, e le abitazioni minori del villaggio vengono edificate tra le due mura di difesa concentriche. Ai tempi Micenei sul continente, come sulle isole, si era sviluppata un’architettura urbana completa di fogne e pozzi.
Gli edifici iberici somigliano a quelli di alcune zone del mediterraneo orientale nella loro pianta generalmente angolare, per quanto si debba sottolineare che nel mediterraneo occidentale pare si fossero poco preoccupati di adottare una pianta rettangolare e facessero liberamente ricorso, in caso di necessità, a pareti oblique e perfino curve.
Le tracce più cospicue di case del Danubiano II sono quelle intorno alle rive del Fedresee nel Wurttemberg  attribuibili al popolo degli Aichbuhl. Nella località di tale nome lungo la riva di un emissario del lago, erano disposti in file irregolari due edifici diversi e ventidue case rettangolari: queste, sebbene variassero nei particolari, ripetevano con notevole fedeltà una pianta comune.
Tranne alcune strutture più modeste a Dullenried sul Federsee, le abitazioni associate con le culture occidentali e ibride dei laghi alpini e svevi, sono tutte del tipo rettangolare fornito di frontone.
Uno degli elementi più notevoli che emergono da questo esame superficiale delle case dei contadini neolitici dell’Europa temperata, è lo schiacciante predominio di piante rettangolari. Nell’Europa centrale e settentrionale la casa rettangolare doveva persistere durante l’Età del Bronzo e del Ferro. D’altra parte nelle Isole Britanniche questi ultimi periodi furono contrassegnati da un eccezionale sviluppo della casa a pianta circolare.
Nell’Europa Temperata, l’antica Età del Ferro fu contraddistinta da una grande varietà di costruzioni sia quanto alla pianta, sia alla loro struttura, ma prima che questa diversità possa essere sfruttata per definire i raggruppamenti culturali e per gettare luce su altri aspetti della vita economica, si devono raccogliere molti più dati di quanti ne siano ora a disposizione.
Per il periodo di La Tene sono state trovate in Renania strutture tanto rotonde quanto rettangolari.
Nelle Isole Britanniche, al contrario, per l’Antica Età del Ferro non ci sono quasi tracce se non di case rotonde o almeno curvilinee.
I primordi della casa circolare nella pianura britannica sono ancora avvolti in un’oscurità che solo ulteriori scavi possono dissipare. Allo stesso tempo l’erezione di monumenti “HENGE” e di strutture lignee su alture tondeggianti, come quello osservato sul Colle 23 della Brughiera di Calais nell’East Riding dello Yorkshire, indica che già all’inizio del secondo millennio A.C. era saldamente radicata nella zona pianeggiante la tradizione di costruire edifici circolari di carattere casalingo.
Gli scavi di Bersu a Ballakeigan nell’Isola di Man, hanno rivelato una fattoria circolare atta ad ospitare sia uomini che animali, esemplare della unità singola, propria della nostra società pastorale celtica durante i primi secoli della nostra Era.
Per quanto riguarda le case vere e proprie, quelle costruite nell’Età del Ferro in Britannia hanno spesso una semplice forma circolare, costruite sia su armature di pali verticali, sia di terra e pietra.
Dove il legname era molto scarso, come in alcuni esempi della zona degli altipiani durante l’Antica Età del Ferro, pilastri radiali in pietra rimpiazzavano talvolta i pali di legno, sistema ben visibile nelle “case a ruota” delle Orcadi, delle Shetland e delle Ebridi. Le case rotonde con cerchi interni di pali potevano talvolta raggiungere dimensioni notevoli. Ad esempiole prime due case di Little Woodbury aveva un diametro di circa 15 metri. Il tetto presentava un’apertura per lasciare entrare la luce e uscire il fumo: la parte più alta posava su quattro pilastri eccezionalmente robusti disposti a formare un quadrato e un portico accuratamente eseguito aveva lo scopo di facilitare l’accesso, attraverso lo spiovente del tetto.
Da quanto esposto delle opere del Piggot e del Clrk, possiamo desumere che quanto ci portiamo dentro, anche noi uomini moderni, non può sottrarsi all’influenza fondamentale e perlopiù inconscia dell’esperienza dei nostri antenati, fin dal periodo neolitico.*
Possiamo anche desumere che nell’Europa Preistorica convivessero, in due grandi aree originariamente distinte, due culture sensibilmente diverse tra loro: quella delle case rettangolari allungate e del villaggio nel centro-est; quella delle case ovali o rotonde e della grande fattoria circolare isolata nel centro-ovest.*
Le grandi migrazioni dei popoli europei sino all’epoca romana, portarono poi ad una mescolanza di comunità e culture che sfociò in una convivenza tra tradizioni e sensibilità diverse tra loro, che si manifesta in maniera concreta nel rinvenimento, nell’ambito degli insediamenti sul territorio, delle due fondamentali diverse tipologie contemporaneamente.*
 
LA VISIONE ORGANICA IN ARCHITETTURA: POSSIBILI RIFERIMENTI FILOSOFICI.
L’ILOMORFISMO.
Si potrebbe individuare un primo riferimento filosofico della concezione organica nell’arte, nell’ilomorfismo, dottrina filosofica metafisica, di ispirazione neoplatonica, esposta dal filosofo giudaico Avicebron (1020-1070). Per la concezione ilomorfista tutto ciò che è, è composto di materia e forma, considerando impossibile la sussistenza di forme spirituali indipendenti dalla materia.
La storia della filosofia nel termine filosofico di ilomorfismo o ilemorfismo, comprende quelle dottrine che considerano appunto, le cose come costituite di materia e forma: con questa designazione viene particolarmente indicata la teoria aristotelica della materia e della forma.
Il successivo sviluppo arabo ed ebraico dell’aristotelismo (Avicebron) ritenne che tutti gli esseri creati, quindi anche quelli spirituali, fossero composti di materia e forma, delineando così il principio della composizione ilemorfica universale. Tale teoria fu accettata da Alessandro di Hales e da S. Bonaventura, il quale precisò che la materia spirituale non è, come quella corporea, estesa e soggetta a privazione e corruzione ma consiste piuttosto nella potenzialità insita in tutte le creature. La dottrina della composizione ilemorfica universale divenne così propria della corrente Francescana.
Dalla Scolastica che, in quanto sistematizzazione cristiana dell’aristotelismo, ammetteva i capisaldi della teoria ilemorfica e di quella della Potenza e dell’Atto (potenza ed atto sono convertibili con materia e forma). L’ ilemorfismo passò nella moderna Neoscolastica la quale tentò di dimostrarlo con due argomenti principali:
1-  La necessità di ammettere un elemento indeterminato potenziale (materia prima) ed un elemento attuale determinante (forma sostanziale);
2-  Il fatto che la coesistenza nei corpi di proprietà opposte esige due principi diversi (materia prima e forma sostanziale) da cui queste derivano.
Ma con l’evoluzione della scienza moderna, numerose furono le critiche che si levarono nei confronti dell’ilemorfismo: in particolare contro le obiezioni da più parte mosse nei confronti dell’ilemorfismo di essere incompatibile con le scoperte della scienza moderna, i neoscolastici lo difendono avvalendosi di argomenti attinti alla meccanica quantica.
Nei tempi moderni il Leibniz sostenne che tutti i fenomeni vitali, anche inconsci, sono dovuti all’azione dell’anima.
 
IL VITALISMO
Altro itinerario di approccio filosofico alla visione organica dell’arte e dell’architettura è quello del Vitalismo Animistico.
Ad esempio, un’evidente forma di Vitalismo Animistico è la dottrina di Platone e, parimenti, vitalistico ma con tendenza all’ilomorfismo è il sistema già visto di Aristotele, adottato in massima parte da S. Tommaso.
Con il termine di “Vitalismo”, termine peraltro assai vago, si usano classificare tutte quelle dottrine che pongono una differenza fondamentale tra il mondo inorganico ed il mondo organico.
Mondi regolati, quello inorganico dalle leggi fisiche, quello organico dalle leggi particolari della vita, leggi che non dipendono da un unico e medesimo principio, bensì da due principi diversi ed irriducibili.
Ne deriva che la vita non può venire considerata come un fenomeno fisico di ordine superiore, ma deve venire pensata come un fenomeno a sé, dipendente da una forza che, senza opporsi all’esplicazione delle forze fisiche, opera indipendentemente da queste e, in un certo modo, si sovrappone loro per fare della materia inanimata un essere vivente.
Sulla natura di questo principio vitale, gli studiosi vitalisti non sono concordi. Gli argomenti con cui essi sostengono la differenza tra i due principi sono generalmente attinti dal diverso modo di comportarsi degli esseri inanimati e degli esseri viventi.
In particolare per quanto riguarda l’assimilazione, che è la facoltà peculiare dell’organismo vivente di trasformare sostanze estranee in sostanza propria.
Questa facoltà manca del tutto alle cose inanimate, le quali possono accrescersi soltanto per giustapposizione e di sostanze eguali o simili.
I due mondi dell’inanimato e del vivente, si distinguono poi per due ulteriori grandi differenze: la reattività e la riproduzione. La reattività, che è la capacità di reagire a stimoli esterni, di cui sono totalmente privi gli esseri inanimati, i quali non si muovono se non per un impulso proveniente dall’esterno.
La riproduzione che nei viventi avviene per un impulso interiore che determina una differenziazione (da un ovulo fecondato provengono per differenziazione le varie parti dell’organismo vegetale o animale) mentre gli esseri inanimati possono moltiplicarsi solo per divisione o rottura dovute esclusivamente ad un agente esterno.
In tempi più moderni la corrente del vitalismo, nelle sue diverse componenti, si evolve con la Scuola di Montpellier, che sviluppa le idee enunciate dal medico P.J.Bartez: egli attribuiva le manifestazioni della vita ad una forza che, pur non identificandosi con l’anima, doveva essere tuttavia considerata come diversa dalle forze materiali.
 
L’ORGANICISMO
Alle due correnti dell’Ilomorfismo e del Vitalismo, si affianca la corrente iniziata dal fisiologo N.F.X. Bichat e continuata, tra gli altri, da C. Bernard che assume, appunto, la definizione di Organicismo.
Per questa corrente di pensiero, invece, la vita non risulta da un principio vitale, ma dalla cooperazione di forze o proprietà di natura non meramente fisica, particolari a ciascuno degli organi di cui è composto l’essere animato:”La Vita” dice il Bichat”è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte”.
Nel contempo la grande fortuna incontrata dall’evoluzionismo Darwiniano, poggiante su una concezione meccanicistica della vita, per un verso metteva in ombra le dottrine vitalistiche, mentre per l’altro provocava una decisa reazione concretatasi in una tendenza vitalistica che prese il nome di “Neovitalismo”.
 
IL NEOVITALISMO
Esponente principale ne fu Hans Driesch, il quale sostenne che l’organismo vivente contiene in sé una forza, da lui detta “entalchia”: un principio naturale, proprio dell’essere vivente, che agisce in esso, determinandone l’individuazione, pur essendo esso medesimo superindividuale e soprapersonale.
Infine la concezione del Bergson, il Vitalismo Metafisico, per il quale lo “slancio vitale” non presiede soltanto alla formazione e allo sviluppo del mondo organico, ma è principio creatore, è la dinamica della coscienza cosmica, che infonde nella materia, dopo averla superata come ostacolo, la corrente di vita per cui la materia stessa si evolve fino agli esseri viventi più perfetti.
 
ULTERIORI CONSIDERAZIONI
Non parrà superfluo, a questo punto, ricordare una importante considerazione di Albert Einstein:”La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Esso è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare e rimanere rapito in timorosa ammirazione, è come morto: i suoi occhi sono chiusi. Questo scrutare nei misteri della vita, anche se misto alla paura, ha dato origine alla religione.  Sapere che ciò che per noi è impenetrabile esiste realmente, manifestandosi come la più alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono comprendere solo nelle loro forme più primitive, questa conoscenza, questo sentimento, è al centro della vera religiosità. In questo senso, e solo in questo senso, io appartengo alla schiera degli uomini profondamente religiosi.”
Nei tempi moderni, il crescente successo della ricerca biologica, soprattutto nei settori più avanzati delle biofisica, dalla biologia molecolare, dalla bio-cibernetica, mostrando come settori sempre più vasti della biologia fossero riducibili a meccanismi fisico-chimici, ha ridotto sensibilmente la diffusione delle idee vitalistiche tra i biologi.
Ma in questi ultimissimi anni, per la verità, si è registrata una ripresa di posizioni che, in termini molto generali, potremmo definire “neovitaliste”.
Tali posizioni, però, lungi dal sorgere nel campo dei biologi, sono state prospettate e sostenute da alcuni fisici, alcuni molto noti come il Premio Nobel Wigner, Elsasser ed altri.
Interessante richiamare qui quanto riporta Leopold Infeld nel suo libro intitolato: ALBERT EINSTEIN: L’Uomo e lo Scienziato – La Teoria della Relatività e la sua influenza sul mondo contemporaneo.
La Teoria dei Campi può consentire interessanti intuizioni nella concezione dello spazio e della materia. Nel capitolo intitolato “Alla ricerca dell’Unità” tra campo gravitazionale, campo elettromagnetico, l’autore evidenzia come, nella Teoria della Relatività Generale, si sia visto che il campo “geometrico” è anche il campo “gravitazionale”. Le equazioni di campo della Relatività Generale, sono le equazioni di questo campo gravitazionale o geometrico. Esso è dato da masse date, dalle loro velocità note e anche dal campo “elettromagnetico”.
La Teoria della Relatività Generale tratta questi due campi, quello gravitazionale e quello elettromagnetico, in due maniere completamente diverse: il campo gravitazionale è anche un campo geometrico.
Ma il campo gravitazionale è diverso: esso, ed esso solo, caratterizza la geometria del nostro mondo. Nel campo gravitazionale si ha, per così dire, un aspetto fisico ed uno geometrico. Nel campo elettromagnetico si ha invece solo l’aspetto fisico.
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Dal punto di vista di una teoria di campo, invece di dire “questa è una particella” si dovrebbe dire piuttosto”questa è una regione in cui il campo è fortissimo”. Invece di dire “una particella si muovo” si dovrebbe dire:”il campo varia nel tempo e la regione in cui il campo è forte, si sposta”.
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I concetti di particelle e del loro moto dovrebbero essere considerati in una teoria unitaria di campo come concetti di regioni in cui il campo è forte e di variazioni di tali regioni nel tempo e nello spazio.
Queste considerazioni possono lasciar adito ad interessanti ipotesi di convergenza tra concezioni scientifiche e filosofiche tali da consentire una esauriente definizione del concetto di “organico” in architettura, nell’arte, nella visione del mondo in generale.
 
LA VISIONE ORGANICA IN ARCHITETTURA: POSSIBILI RIFERIMENTI FISIOLOGICI E PSICOLOGICI.
Atteggiamento peculiare della visione organica in architettura è la nuova considerazione degli aspetti psicologici ed emotivi dell’essere umano che devono ritrovare, nello spazio architettonico ed urbano, piena risonanza.
Cerchiamo quindi di andare a trovare, in una vasta letteratura, quelle definizioni che ci possono consentire di indagare in maniera approfondita, l’essenza degli aspetti emotivi e psicologici della poetica organica.
Con la denominazione di sensazioni organiche o interne, si intendono tutte le sensazioni (nell’accettazione fisiologica del termine) che provengono dagli organi interni del corpo, i quali, se provvisti di nervi centripeti, sono dotati di sensibilità.
Le sensazioni interne non hanno un valore conoscitivo così evidente come le sensazioni esterne che ci mettono in diretto contatto con il mondo fisico; tuttavia esercitano un’azione importantissima per gli stati affettivi ed emotivi che vi si accompagnano e che si manifestano quando, durante certi stati patologici, la sensibilità degli organi è esaltata ad un grado eccessivo.
Il capitolo delle sensazioni organiche interne è tuttora relativamente oscuro in molti suoi aspetti ed è stato per lungo tempo trascurato rispetto al capitolo che considera le sensazioni esterne.
Attualmente, però, si riconosce il grande valore di queste sensazioni che, fuse insieme e coordinate, sono all’origine del cosiddetto “sentimento corporeo” per il quale noi conosciamo il nostro corpo e lo distinguiamo da quello degli altri.
Il sentimento corporeo è senza dubbio la base fisiologica della coscienza delle personalità.
Bisogna notare come le sensazioni organiche si accompagnano sempre a sentimenti complessi che si manifestano all’osservazione immediata come sentimenti diffusi di benessere o di malessere, di sforzo o di tensione. Possono anche manifestarsi come bisogni, detti istinti, di fame, di sete e sessuali, ed anche infine come stati affettivi si sazietà e di voluttà.
Difficilmente, come nelle sensazioni cutanee di dolore, il fatto sensoriale appare separato dal fatto emotivo che vi si accompagna; tuttavia, mediante l’analisi accurata, si riesce a tenere distinti i due lati delle sensazioni organiche.
La sensazione che deriva dagli stimoli sessuali, ad esempio, può essere avvertita prima come un confuso stato sensoriale, che viene anche localizzato, e in seguito, per associazione con l’immagine di esperienza anteriori, si muta in un bisogno vero e proprio, che è il punto di partenza di manifestazioni complesse, istintive e volontarie, le quali caratterizzano l’agire sessuale.
Le sensazioni organiche, che vengono da alcuni interpretate come sensibilità tattile profonda, si possono distinguere in due grandi categorie: sensazioni cinestetiche e sensazioni viscerali.
Possiamo, quindi, infine ipotizzare che l’ambiente esterno abbia una significativa influenza sulle sensazioni organiche profonde, così come le nostre sensazioni organiche profonde possono trovarsi o meno in armonia con l’ambiente esterno e con quello architettonico.
Si può quindi presumere che un’assonanza tra sensazioni organiche ed emozioni generate dall’ambiente esterno od architettonico, comportino quella sensazione di armonia che si traduce in benessere psicologico per l’individuo.
 
ARCHITETTURA ORGANICA: IPOTESI DI CONSIDERAZIONI FINALI.
Quanto riportato nelle pagine precedenti non vuole assolutamente costituire un documento o un manifesto compiuto per l’Architettura Organica.*
Costituisce, invece, una raccolta del tutto personale di “flashes” tratti soggettivamente, emotivamente ed acriticamente da una lunga serie di letture fatte nel tempo, da una persona senz’altro pregiudizialmente orientata verso una concezione organica dell’architettura, quale io ritengo di essere.*
Conoscendo bene i limiti, l’occasionalità, la casualità e la estemporaneità della mia formazione culturale e professionale, forse troppo spesso soggetta alle condizioni e pressioni del contingente, ritengo di poter comunque proporre gli argomenti esposti come base di una discussione, i cui esiti non risultano sin d’ora affatto scontati.*
La discussione che potrebbe seguirne, può anche azzerare del tutto quanto da me raccolto ed esposto schematicamente in queste pagine, ma ritengo doveroso espormi a questo probabile esito in quanto ritengo assai più utile, anche a me stesso, promuovere un ampio dibattito sulla concezione organica, che cullare nel mio ristretto e soggettivo orticello, la presunzione di averne capito l’essenza nei campi dell’arte e dell’architettura.*
Sperando quindi che queste pagine suscitino perlomeno la voglia di confutare, negare e ribaltare quanto in esse esposto, non mi rimane che auspicare di aver provocato un dibattito dissipatore e chiarificatore che possa giungere ad una oggettiva definizione dell’Architettura e dell’Urbanistica Organiche alle soglie del Terzo Millennio d.C., tracciando la strada per la sua certa evoluzione futura.



       


FONTE :  Adriano Conti , architetto e Presidente dell'AIARCO - Associazione Interregionale di Architettura Organica. Sito web dello studio di progettazione con il figlio Fabio: www.idroprogetti.com .      
















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