Adriano Conti
Introduzione al Convegno
sull'Architettura Organica
del giugno 1997
PREMESSA
Questo documento ha la sola
pretesa di aprire un confronto di esperienze e di pensiero sulla concezione
organica dell’architettura ed è costruito semplicemente assemblando brani
desunti dalle opere di studiosi autorevoli nel campo della storia dell’arte,
della archeologia, della fisica e delle scienze umane in genere.*
Tutto ciò nel tentativo di
ricercare ed evidenziare quel concetto di “Unità” tipico della concezione
organica dell’arte in generale e dell’architettura in particolare:concetto di
“Unità” che vedremo poi tornare più volte nei diversi campi nei quali si
articola la complessità della visione unitaria finale.*
ESISTE UNA CORRENTE
DELL’ARCHITETTURA MODERNA-CONTEMPORANEA DEFINITA ARCHITETTURA ORGANICA.
Dalla fondamentale opera di
Bruno Zevi, Storia dell’Architettura Moderna (Edizioni Einaudi) sono stati
estratti quei brani specifici che fanno riferimento all’origine ed alle
caratteristiche del movimento organico in Architettura.*
Movimento che si è evidenziato
in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi anni dell’800 e nei primi anni del
‘900 come nuova corrente culturale in Architettura che, per le sue
particolarità, fu definita “ORGANICA”.
Già negli ultimi anni dell’800,
primi del ‘900 negli Stati Uniti d’America, l’architetto Louis Sullivan cercò di
arrivare al vero significato delle parole “Architettura Organica” per assurdo,
indicando paradossalmente “che cosa l’architettura organica non significasse”.
Organico, egli disse, significa
vivente, significa sviluppo e non, come nell’architettura americana trionfante
intorno al 1900, “pietosa nella sua follia, funzioni senza forme, forme senza
funzioni, dettagli non correlati alle masse, o masse che non sono in relazione
che con la stupidità”.
Organico significava per lui “la
ricerca della Realtà-Una, parola che io amo perché amo il senso della vita che
evoca un implicito con dieci dita le cose”.
Successivamente anche Frank Lloyd
Wright prenderà le mosse da analoghe considerazioni. Organico, insomma,
significa, nel senso di Sullivan e di Wright, una protesta contro la personalità
divisa e la cultura divisa. Si identifica con “l’afferrare la realtà con dieci
dita”, con un processo in cui pensiero e sentimento si appressano al punto di
coincidenza.
In Europa, la prima definizione
ufficiale dell’Architettura Organica è dello svedese Sven Backstrom che,
ripercorrendo l’evoluzione dell’architettura moderna nel suo paese, dopo aver
delineato la mentalità meccanicistica imperante attorno al 1930 (ed oggi?), così
procede:
“………Oggi anche i più sottili
fattori psicologici cominciano a richiamare la nostra attenzione. L’Uomo e le
sue abitudini, le sue reazioni, le sue esigenze sono al centro dei nostri studi
assai più di prima. Noi cerchiamo di soddisfarle e di far sì che gli edifici
servano veramente la vita. Desideriamo arricchire la vita dell’Uomo nella casa e
nella città, renderla più bella affinché divenga una fonte di gioia……..”
In Europa l’atto di nascita del
Movimento Organico in Architettura fu firmato non in Finlandia, ma nella vicina
Svezia sempre negli anni 1930 da un architetto fino ad allora poco noto: Erik
Gunnar Asplund.
L’esasperazione cui era giunta
la poetica razionalista in architettura ed il diffondersi delle cosiddette
“Architetture di Regime”, pose in maniera impellente il problema
dell’umanizzazione dell’architettura moderna in Europa. Asplund preferiva valori
intimi e persuasivi, un’immersione dell’architettura nella continuità
paesistica, un tetto che dia un senso di contatto, di peso, di legame con la
terra buona.
Questi architetti concordavano
sul fatto che non si poteva raggiungere tale sintesi (sintesi delle
giustificazioni parallele) pensandoci su e poi scrivendo un libro, un ennesimo
programma di architettura moderna. Evidentemente no: come si dovette constatare
proposito del tentativo di Behrendt, la cultura architettonica si crea
edificando: le chiarificazioni e le sistemazioni storiche vengono dopo, quando
l’architettura esiste nella sua concretezza e si tratta, quindi, di
caratterizzarla.
*Non si deve temere di
cementarsi nella realizzazione dell’opera architettonica, qualora non si sia più
che certi di disporre di un riferimento culturale-manualistico che ci possa
garantire che ci possa garantire, fin dall’inizio, una qualche certezza di
qualità artistica.
*Quando Leopold Infeld
affrontava con Albert Einstein il problema di una preventiva certezza nella
ricerca scientifica, Einstein era solito dire: “L’Uomo ha poca fortuna. Lo
scienziato è come uno che spari le sue cartucce alla cieca e si stupisca quando
indovina un colpo”.
Penso che analoghe
considerazioni debbano valere per l’Artista, per l’Architetto.
Vicino ad Asplund, ma per altre
vie, Sven Markelius contribuì alla svolta organica dell’architettura scandinava,
mentre con il finlandese Alvar Aalto nuova organicità è raggiunta: nulla è più
libero di per sé stesso;struttura, facciate, pianta finestre sono serratamene
legate in nome di un tema unico, di una libertà che tutte le reintegra e
determina; la libertà umana e quella spaziale entro la quale la prima si invera.
Ancor più precisa è una
dichiarazione che fece Alvar Aalto negli Stati Uniti negli anni ’40:
“…….Se si potesse sviluppare
l’architettura passo per passo, cominciando dall’aspetto economico e tecnico e
continuando poi con le funzioni umane più complesse, allora l’atteggiamento del
funzionalismo tecnico sarebbe accettabile. Ma questo è impossibile.
L’Architettura non solo copre tutti i campi dell’attività umana, ma deve essere
anche sviluppata contemporaneamente in tutti questi campi. Altrimenti avremo
solo risultati unilaterali e superficiali.”
Ogni conquista tecnologica ed
ogni risultato figurativo muovono in Aalto da una ricerca psicologica: non
grandi teorie sel come l’umanità dovrebbe vivere, ma un profondo, solidale amore
con i problemi concreti della vita quotidiana.
La sua indagine funzionalista è
diretta non soltanto alle strutture ed alla disposizione degli ambienti, sebbene
anche ai problemi psicologici, ai problemi di vita vissuta, alla storia che ci
portiamo dentro.
Lo spazio interno
dell’architettura trascende le quattro dimensioni e perciò anche la loro
rappresentazione; non lo rende la fotografia che coglie tre dimensioni da un
punto di vista, e nemmeno un film cinematografico che presenta la sequenza nel
tempo di tre dimensioni da successivi punti di vista. Lo spazio interno non può
essere appreso né dai disegni, nè dai bozzetti, né dalle fotografie, ma solo
nella realtà dell’architettura.
Questo intento di concepire, di
potenziare, di creare la cavità dell’edificio, quello spazio interno che è la
sede della sua funzione sociale e, allo stesso tempo, il sostantivo più
specifico dell’arte edificatoria, è il pensiero avanzato della storia
dell’architettura nel mondo.
Ma erano prodotti nati da una
stessa ricerca, da una stessa cultura, da una stessa decisione di abbandonare
l’uso di tradurre meccanicamente teorie sociologiche e tipologie figurative in
edifici, da uno stesso intento di umanizzare l’architettura imprimendovi il
segno di una differenziata fenomenologia in n ime del primo requisito richiesto
alla casa ed alla città:la sua “LIVABLENESS”, la possibilità di vivervi con
grazia, con spirituale delizia.
In termini figurativi,
l’Organico, come sarà meglio chiarito, si definiva in contrapposizione al
geometrismo, agli standards artificiali, alle scatole bianche ed ai cilindri di
tanta parte del periodo razionalista; in contrapposizione al “nudismo” del
quest’ultimo che era scaduto in una paradossale forma di retorica a rovescio. A
un interesse essenzialmente volumetrico, succedeva un impegno spaziale; al
rettangolarismo, una pluralità di forme ondulate.
E’ a questa completa realtà
strutturale e spaziale dell’edificio che il Movimento Organico presta
attenzione. Ala proiezione dell’edificio nel complesso delle attività umane che
vi si svolgono. Organico in quanto negli spazi interni dell’architettura ricerca
la felicità materiale e spirituale dell’Uomo; organico perché estende questa
esigenza dall’ambiente isolato alla casa, dalla casa alla città e dalla città
all’ambiente. Organico era perciò un attributo che aveva alla sua base un’idea
sociale, non un’idea figurativa; in altre parole, che andava riferito ad una
architettura che volesse essere, prima che umanistica, umana.
Lo spazio – la somma delle
relazioni tra l’uomo e il mondo che lo circonda – è il solo prodotto finale
utile dell’edificio; la sua manipolazione costituisce la più grande sfida della
composizione architettonica.
Nella scatola che ne risultava,
furono compresse le attività umane. Ma oggi l’architetto può seguire il processo
contrario, non ha bisogno di riempire una scatola, ma dallo studio delle
esigenze umane può evolvere uno scheletro che permetta ad esse di funzionare più
liberamente. Egli non usa lo spazio, lo crea.
In termini di spazio, la
funzione stessa diviene forma. Einstein ha avvertito che “il fattore cruciale
nello sviluppo di un’immaginazione scientifica è quello necessario a comprendere
che la chiave del mondo fisico non consiste né nelle energie, né nelle
particelle, ma nel campo spaziale tra le cariche e le particelle”, come poi
avremo occasione di vedere nel libro di Leopold Infeld: Albert Einstein: l’uomo
e lo scienziato.
Questo potente campo spaziale è
anche l’essenza dell’Architettura Moderna che non può astenersi dal confronto
con i traguardi raggiunti dall’evoluzione della scienza e della fisica.
Non possiamo sottovalutare
quanto disse Frank Lloyd Wright: “Lo spazio interno è l’unica realtà della
costruzione………anche il più accurato bozzetto di una costruzione è perciò inutile
in quanto deve essere visto dal di fuori e da sopra, e non da dentro e da
sotto...”
Da quanto detto fin qui,
consegue necessariamente l’immagine di una fondamentale quanto essenziale
“Unità” delle componenti prima dell’essere umano nella sua psicologia,
emotività, passato storico e presente; poi del prodotto architettonico nelle sue
funzioni, spazi interni architettonici, spazi esterni urbani ed ambiente: ciò
caratterizza con forza ed in maniera in equivoca il concetto di organico in
architettura, nella scienza e nell’arte.*
Acquisita quindi la legge
razionalista, sorge conseguentemente il nuovo atteggiamento organico: il bisogno
della scala umana, di spezzare la supercittà nelle sue comunità sociali, di
favorire una vita più naturale e facile, una nuova istanza psicologica.
Conseguentemente ne deriva che
l’architetto che non sia al tempo stesso urbanista è un assurdo paragonabile ad
un medico che usi per curare i malati gli esorcismi della stregoneria, oppure
l’alchimia tipica dei ragionieri dell’urbanistica, gli efficienti quanto
dialettici applicatori di standards manualistici o legislativi.
All’inverso – e questo è un
punto sostanzialmente non ancora del tutto acquisito – l’urbanista che non sia
architetto è come un medico che curi i degenti in base ai libri e alle dottrine
scientifiche senza esaminarlo, senza conoscerne l’individuale costituzione.
La nuova tendenza organica in
urbanistica è di considerare il cittadino come una persona; un gruppo di uomini
o di famiglie come una comunità sociale. Il problema da risolvere, come una
questione qualitativa, oltre che quantitativa, con peculiari caratteristiche
umane ed organiche.
Molti degli urbanisti europei,
in particolare scandinavi, inglesi ed americani che si sono orientati verso la
cultura organica, hanno sviluppato la loro formazione razionalista originaria
nella sua traduzione organica.
Essi hanno armonizzato i
principi dell’urbanistica razionalista con le esigenze umane. Una varia
disposizione degli edifici, il gusto di seguire le accidentalità del terreno
anziché tutto spianare, un appassionato studio paesistico, un nuovo rispetto
della tradizione e del passato anche storico, un’avanzata tecnica del
giardinaggio, la costruzione – del resto imposta per legge – degli edifici
pubblici necessari ad ogni comunità sociale hanno largamente contribuito ad
umanizzare l’urbanistica.
Invero l’architettura organica
presuppone un’urbanistica organica, la fine della circoscrizione degli edifici
dall’esterno. Il lotto del terreno non più semplicisticamente rettangolare
significa uno sforzo in questa direzione liberatrice della casa: una maggior
elasticità, più vaste possibilità di pensare, di determinare, di creare, insieme
con gli spazi interni dell’architettura, gli spazi esterni dell’urbanistica.
L’Urbanistica Organica e
l’Architettura Organica sono una ed una sola cosa: come è impossibile una casa
organica in una città non umanamente pensata, così l’urbanistica che non derivi,
che non cresca dall’architettura dei suoi spazi e dei suoi edifici è urbanistica
meramente planimetrica, resta disegno a due dimensioni, è sovrapposta al
terreno, è formula, regolamento, premessa, astrazione:le manca la vita e perciò
l’arte.
LA NASCITA DELL’ESPERIENZA
ITALIANA
Il terreno della discussione
sull’architettura organica in Italia era stato preparato dal pensiero di Edoardo
Persico e dall’interesse destato dall’architettura svedese e finlandese.
Agli inizi degli anni cinquanta,
gli architetti moderni italiani da Torino, Venezia alla Sicilia si raccolsero in
associazioni tese ad approfondire l’indirizzo organico: i razionalisti vi
aderirono con la sola eccezione del gruppo milanese.
Che cos’era questa Architettura
Organica per gli Italiani? In primo luogo essi accettavano una caratterizzazione
risultata dalla discussione internazionale: l’Architettura Organica era
un’architettura senza dubbio funzionale non solo rispetto alla tecnica ed allo
scopo sociale dell’edificio, ma anche rispetto alla psicologia degli abitanti e
degli utenti.
In secondo luogo, l’Architettura
Organica significò lo svincolamento dal rettangolarismo e dallo quadrettato
scatolame della maniera razionalista; una maggiore agilità di forme ondulate,
insieme con un più ricco uso del colore e dei materiali naturali, sostituì il
primitivo nudismo.
Ma anche davanti al tema
compatto di un ospedale traumatologico, Giuseppe Samonà, ad esempio, poteva
riesaminare integralmente il problema delle stanze di degenza……………
Nell’Unità Residenziale di
Falchera, il Gruppo Astengo delineava con puntualità teoretica un elemento
edilizio ad “U” aperta che non solo compone variamente gli spazi esterni, ma
garantisce il continuo rimando visivo dall’uno all’altro.
Marcello d’Olivo, architetto
friulano, non può certo venire escluso dal movimento organico: al contrario la
contestuale presenza nella sua architettura di una emotività sia consapevole che
inconscia, trattate a pari livello di dignità e ruolo nella composizione
architettonica, pone la sua produzione all’avanguardia nell’Architettura
Organica. La sua capacità di recepire l’organicità delle emozioni profonde,
ascoltarle ed assecondarle dando loro il ruolo di chiave della armonica fusione
tra emozioni indotte dall’ambiente esterno ed emozioni prodotte dal contenitore
architettonico, porta ad esempi ad esempi di Architettura Organica di rara
intensità emotiva ed emozionale.*
IL CENTRO DELL’ARCHITETTURA
ORGANICA: L’UOMO
Ho voluto proporre un’immagine
dell’essere umano, che la concezione organica dell’architettura pone al centro
del processo architettonico nella sua unità psico-fisica, storica ed emotiva,
estraendola, direi quasi tecnicamente ed asetticamente, da un’opera fondamentale
per la preistoria Europea, quella di Stuart Piggot: EUROPA ANTICA.
Di seguito vengono riportati
periodi integralmente estratti dall’opera del Piggot, nella loro concatenazione
originale: ne potrete riportare, che piaccia o no, una realistica quanto
appassionata e disincantata immagine di quell’essere che assurge a protagonista
della conquista dell’ambiente e dello spazio: l’Essere Umano.
Dice il Piggot:
“Abbiamo perso la fiducia del
secolo diciannovesimo, e siamo figli di un’età del dubbio. Ma non è soltanto
questo che ci ha spinto a rivedere le nostre opinioni sulla natura della ricerca
storica, né la facile presunzione che dobbiamo per forza saperne di più dei
nostri avi. Le nostre idee si sono imbevute dei concetti dello scienziato e non
ci scandalizza l’estensione del concetto di relatività a sfere diverse da quella
per la quale Einstein lo aveva pensato”.
Va aggiunto poi che noi
interpretiamo la documentazione alla luce del nostro bagaglio intellettuale,
condizionato com’è dall’epoca e dalla cultura nella quale ci siamo formati, dal
nostro ambiente sociale e religioso, dalle nostre ipotesi e pregiudizi correnti
e dalla nostra età e posizione sociale. Non sono molti quelli che hanno
affrontato questo dato di fatto con l’onestà di Osbert Lancaster, il quale
scrisse nella prefazione del suo libro: “I miei criteri politici, architettonici
e scenici restano fermamente anglosassoni e i metri di giudizio sono sempre
quelli di un anglicano laureato ad Oxford, dotato di gusto per l’architettura,
divenuto vignettista, che sta per raggiungere la mezza età e che vive a
Kensington”. Confessioni di questo genere darebbero un largo contributo alla
nostra comprensione delle opere di storia.
Cominceremo le nostre ricerche
in un’antichità di molto precedente alla scrittura, circa diecimila e più anni
or sono dove però, l’uomo stesso à già molto vecchio. Era emerso come specie
diversa forse due milioni di anni prima, e una delle sue maggiori peculiarità,
che lo distingueva dalle altre specie, consisteva nel fatto che, rispetto ai
comuni “metodi biologici di trasmissione ed evoluzione” il suo cervello si era
talmente sviluppato che “lo aveva provvisto di una seconda forma di eredità
fondata sulla trasmissione dell’esperienza, e lo aveva spinto verso una nuova
fase di evoluzione fondata sulle idee e la conoscenza”. Queste sono parole di
Sir Julian Huxley, il quale prosegue mettendo in rilievo come questa
utilizzazione da parte del cervello della “materia prima della sua esperienza
soggettiva” dia luogo ad una evoluzione “psicosociale” che ci ha reso capaci di
molte cose delle quali nessun altro animale è capace: riflessione consapevole,
concetto della propria personalità, della morte e del futuro in generale:
abbiamo la capacità di formare progetti consapevoli che possono essere tradotti
in azioni”.
Nel periodo dell’antichità
passato in rassegna in questo libro, “la guerra, la brutale soppressione
dell’uomo da parte dell’uomo, da una classe da parte di un’altra classe, di un
sesso da parte dell’altro sesso, di un gruppo di coetanei da parte di un altro
gruppo di coetanei, di una tribù da parte di un’altra tribù, sono inseparabili
dalla civiltà del villaggio preistorico così come sono impliciti
nell’organizzazione di tutte le civiltà urbane evolute fino ai nostri giorni”.
La formazione delle comunità
umane e delle unità sociali, dalla più elementare banda di cacciatori fino alla
più complessa civiltà, è un processo di inibizione e di canalizzazione degli
istinti naturali nel quadro della struttura sociale considerata desiderabile nei
singoli casi, e nella maggioranza delle società. L’aggressività e la guerra
hanno rappresentato un ruolo, maggiore o minore. Il motivo ricorrente della
storia e della preistoria è “l’istinto al dominio dei propri simili, alla difesa
di ciò che ciascuno considera roba sua, ad accoppiarsi, a mangiare e ad evitare
di essere mangiato”. Negli intervalli tra queste attività fondamentali ed
assorbenti, l’uomo ha esercitato le sue emozioni, la sua immaginazione e, meno
frequentemente, il suo intelletto.
Le idee e le convinzioni delle
società innovatrici ci sono familiari perché, per quanto accada in questa o
quell’epoca, di rifiutarne in tutto o in parte le dottrine, ne siamo comunque il
prodotto. Ma non dobbiamo cercare molto lontano, anche nelle isole britanniche,
per trovare delle comunità conservatrici dove una indifferenziazione di
comportamento, se associata ad idee non sanzionate da una lunga tradizione
all’interno del gruppo, è difficile e pericolosa. Nulla può compensare
l’alienazione dell’individuo dal suo gruppo: se le sue nuove idee avranno
successo sarà oggetto di invidia; se falliscono sarà oggetto di ridicolo.
Questi schemi di comportamento,
atteggiamenti mentali o emotivi, convenzioni percettive, possono ricorrere
frequentemente in molti tipi di società, o possono apparire raramente: una
comunità, ad esempio, può tenere in gran conto la solidarietà del gruppo o il
ricorso alla guerra al fine di ottenere la dominazione di una certa religione o
di un credo politico: un’altra privilegiare il valore unico dell’individuo
solitario e contemplativo che rifugge dall’uso della forza. Una volta isolato,
tuttavia, il complesso di caratteristiche culturali prescelto, viene proclamato
essere il reale contenuto della civiltà e con questo altri complessi vengono
messi a confronto, solitamente a loro detrimento.
Gran parte del nostro pensiero
su tale soggetto ha inevitabilmente risentito del desiderio di individuare uno
schema di progresso nella storia dell’umanità, mediante il quale una
ininterrotta eliminazione lungo i secoli dei suoi meno piacevoli attributi
avrebbe preparato la via ad uno stadio finale e inevitabile di ordinato
benessere.
Ho già detto che non mi trovo
d’accordo con questi ideali fomentati dagli ideali del diciottesimo secolo, che
trovò uguale espressione nella dichiarazione di indipendenza americana e nel
manifesto comunista. Per me, lo studio delle società illetterate dell’antichità
ha un valore non solo per calcolarne il contributo alle civiltà passate e
presenti, m< perché noi siamo eredi loro tanto quanto i popoli più onorati.
Come ho detto in un altro
contesto:
“Noi ereditiamo una gran
quantità di atteggiamenti mentali inconsci che risalgono non solo alla Grecia e
a Roma, non solo a Ur e a Menfi, ma ancora più indietro ai cacciatori e
pescatori delle età glaciali. Ciò che ci piace chiamare il nostro pensiero può
essere condizionato nella stessa misura dalle paure e pregiudizi del cacciatore
di mammut o del contadino neolitico e delle aspirazioni religiose dei primi
semiti e dal pensiero speculativo dei Greci……………..La nostra progenitura non
comprende solo Platone e il Nuovo Testamento, ma anche il sudore di sangue dei
riti magici dell’Età della Pietra e i terrori irrazionali del mondo degli
sciamani e dei veggenti”.
Il Prof. Gravame Clark nel 1943
scriveva:”Per i popoli del mondo in genere, oso pensare che l’uomo paleolitico
riveste un maggior significato che non i Greci”.
D’altra parte il Prof. Rhys
Carpenter sostiene che “la bimillenaria superiorità dell’Ellenico lo renderà
poco disposto ad ammettere che qualsiasi progresso fatto dai suoi barbari
colleghi delle terre settentrionali possa portargli un qualche insegnamento”.
Riprendendo dal Clark il
concetto dell’importanza che riveste per noi, uomini d’oggi, l’eredità
culturale-emotiva dell’uomo paleolitico, più che quella dei Greci e dei Romani,
e richiamando il Piggot dove afferma che il nostro pensiero è ugualmente
influenzato dalle paure e pregiudizi del cacciatore di mammut o del contadino
neolitico e dalle aspirazioni religiose dei primi semiti e dal pensiero
speculativo dei Greci, risulta di grande interesse andare a visitare le
consuetudini insediative delle popolazioni preistoriche europee ed individuare
le tipologie su cui esse si possono articolare.
Sempre dal Piggot rileviamo, tra
l’altro, che i forti collinari celti, con bastioni o mura di pietra, contengono
abitazioni di forma a volte rettangolare od ovale, ma prevalentemente circolare,
come nella contemporanea Britannia.
Che la Britannia Celtica
mantenne un arcaismo in quel fondamentale elemento della cultura umana che è la
casa, questo non è tutto. Fin dai più antichi insediamenti che riflettevano
tradizioni continentali Halstatt in Britannia – in altre parole fina dall’inizio
dell’età del ferro – in queste isole la tipica unità di insediamento non è il
villaggio, ma la fattoria isolata, fondata su di una grande abitazione
circolare.
Ora queste fattorie isolate
sembrano praticamente sconosciute nell’Europa di Halstatt o La Tene; né esse
compaiono, seppur marginalmente, perché l’Europa Settentrionale e la Scandinavia
ci mostrano, in quest’epoca, villaggi ed abitazioni rettangolari, che precorrono
quelli del periodo migratorio postromano, degli Anglosassoni e dell’Europa
medievale in genere.
LE FORME INSEDIATIVE NELL’EUROPA
PREISTORICA
Possiamo ulteriormente integrare
ed approfondire quanto sin qui detto, ricorrendo ad un altro insigne studioso
della preistoria europea, il prof. Gravame Clark nella sua opera “EUROPA
PREISTORICA” (Einaudi 1969) nella quale, a proposito delle case e dei villaggi
dell’uomo preistorico europeo, dice tra l’altro:
Le prime abitazioni artificiali
di cui finora sono state ritrovate tracce, sono quelle della Russia Meridionale.
Qui le caverne erano limitate alla Crimea ed al Caucaso e di cacciatori di
mammut del paleolitico superiore furono costretti a costruirsi le loro case.
Di norma le abitazioni sono
situate sulle rive di un grande fiume: alcune erabo riapri simili a tende, ma
altre erano vere e proprie case di terra.
In generale le abitazioni di
Timonovka sono simili alle case contemporanee della regione circumpolare, ad
esempio a quelle dei Camciadali della Siberia nord orientale, disposte lungo le
sponde di un fiume, con pianta rettangolare allungata, pareti di legno e il
tetto ricoperto di detriti.
Nell’Europa Mesolitica ci sono
parecchie tracce di capanne, ma solo poche piante sono del tutto soddisfacenti.
Parte di una capanna irregolarmente ovale, portata alla luce su un basso
terrapieno del fiume Lopau a Bockum, distretto di Lunenburgo, Hannover, sembra
fosse costituita da rami piantati nel terreno riuniti insieme alla sommità.
Dai tempi più remoti le rive dei
laghi e dei fiumi, hanno attratto le comunità umane e non fa meraviglia che
bande di cacciatori hamburghiani e ahrensburghiani abbiano scelto di accamparsi
durante l’estate sui laghi e sugli stagni formati dallo scioglimento del
giacciaio sotterraneo delle valli glaciali a galleria dello Schleswig-Holstein.
Più ad ovest i contadini
neolitici della pianura di Foggia in Puglia (Italia) scavano fossati circolari o
semianulari entro recinti più grandi, ma non si è ancora trovata alcuna traccia
delle loro case vere e proprie.
Si è affermato nche nella
penisola iberica esistessero case circolari neolitiche, ma manca ancora una
adeguata documentazione a proposito. Si può citare il ricco reperto di
Fontbouisse nel Comune di Villevieille, Grad, dove insieme a capanne
irregolarmente quadrate se ne trovano altre rotonde…..
Inoltre in questo periodo (Tessalico
B) considerazioni di sicurezza rendono necessario difendere il cortile interno,
come a Dimmi, e le abitazioni minori del villaggio vengono edificate tra le due
mura di difesa concentriche. Ai tempi Micenei sul continente, come sulle isole,
si era sviluppata un’architettura urbana completa di fogne e pozzi.
Gli edifici iberici somigliano a
quelli di alcune zone del mediterraneo orientale nella loro pianta generalmente
angolare, per quanto si debba sottolineare che nel mediterraneo occidentale pare
si fossero poco preoccupati di adottare una pianta rettangolare e facessero
liberamente ricorso, in caso di necessità, a pareti oblique e perfino curve.
Le tracce più cospicue di case
del Danubiano II sono quelle intorno alle rive del Fedresee nel Wurttemberg
attribuibili al popolo degli Aichbuhl. Nella località di tale nome lungo la riva
di un emissario del lago, erano disposti in file irregolari due edifici diversi
e ventidue case rettangolari: queste, sebbene variassero nei particolari,
ripetevano con notevole fedeltà una pianta comune.
Tranne alcune strutture più
modeste a Dullenried sul Federsee, le abitazioni associate con le culture
occidentali e ibride dei laghi alpini e svevi, sono tutte del tipo rettangolare
fornito di frontone.
Uno degli elementi più notevoli
che emergono da questo esame superficiale delle case dei contadini neolitici
dell’Europa temperata, è lo schiacciante predominio di piante rettangolari.
Nell’Europa centrale e settentrionale la casa rettangolare doveva persistere
durante l’Età del Bronzo e del Ferro. D’altra parte nelle Isole Britanniche
questi ultimi periodi furono contrassegnati da un eccezionale sviluppo della
casa a pianta circolare.
Nell’Europa Temperata, l’antica
Età del Ferro fu contraddistinta da una grande varietà di costruzioni sia quanto
alla pianta, sia alla loro struttura, ma prima che questa diversità possa essere
sfruttata per definire i raggruppamenti culturali e per gettare luce su altri
aspetti della vita economica, si devono raccogliere molti più dati di quanti ne
siano ora a disposizione.
Per il periodo di La Tene sono
state trovate in Renania strutture tanto rotonde quanto rettangolari.
Nelle Isole Britanniche, al
contrario, per l’Antica Età del Ferro non ci sono quasi tracce se non di case
rotonde o almeno curvilinee.
I primordi della casa circolare
nella pianura britannica sono ancora avvolti in un’oscurità che solo ulteriori
scavi possono dissipare. Allo stesso tempo l’erezione di monumenti “HENGE” e di
strutture lignee su alture tondeggianti, come quello osservato sul Colle 23
della Brughiera di Calais nell’East Riding dello Yorkshire, indica che già
all’inizio del secondo millennio A.C. era saldamente radicata nella zona
pianeggiante la tradizione di costruire edifici circolari di carattere
casalingo.
Gli scavi di Bersu a Ballakeigan
nell’Isola di Man, hanno rivelato una fattoria circolare atta ad ospitare sia
uomini che animali, esemplare della unità singola, propria della nostra società
pastorale celtica durante i primi secoli della nostra Era.
Per quanto riguarda le case vere
e proprie, quelle costruite nell’Età del Ferro in Britannia hanno spesso una
semplice forma circolare, costruite sia su armature di pali verticali, sia di
terra e pietra.
Dove il legname era molto
scarso, come in alcuni esempi della zona degli altipiani durante l’Antica Età
del Ferro, pilastri radiali in pietra rimpiazzavano talvolta i pali di legno,
sistema ben visibile nelle “case a ruota” delle Orcadi, delle Shetland e delle
Ebridi. Le case rotonde con cerchi interni di pali potevano talvolta raggiungere
dimensioni notevoli. Ad esempiole prime due case di Little Woodbury aveva un
diametro di circa 15 metri. Il tetto presentava un’apertura per lasciare entrare
la luce e uscire il fumo: la parte più alta posava su quattro pilastri
eccezionalmente robusti disposti a formare un quadrato e un portico
accuratamente eseguito aveva lo scopo di facilitare l’accesso, attraverso lo
spiovente del tetto.
Da quanto esposto delle opere
del Piggot e del Clrk, possiamo desumere che quanto ci portiamo dentro, anche
noi uomini moderni, non può sottrarsi all’influenza fondamentale e perlopiù
inconscia dell’esperienza dei nostri antenati, fin dal periodo neolitico.*
Possiamo anche desumere che
nell’Europa Preistorica convivessero, in due grandi aree originariamente
distinte, due culture sensibilmente diverse tra loro: quella delle case
rettangolari allungate e del villaggio nel centro-est; quella delle case ovali o
rotonde e della grande fattoria circolare isolata nel centro-ovest.*
Le grandi migrazioni dei popoli
europei sino all’epoca romana, portarono poi ad una mescolanza di comunità e
culture che sfociò in una convivenza tra tradizioni e sensibilità diverse tra
loro, che si manifesta in maniera concreta nel rinvenimento, nell’ambito degli
insediamenti sul territorio, delle due fondamentali diverse tipologie
contemporaneamente.*
LA VISIONE ORGANICA IN
ARCHITETTURA: POSSIBILI RIFERIMENTI FILOSOFICI.
L’ILOMORFISMO.
Si potrebbe individuare un primo
riferimento filosofico della concezione organica nell’arte, nell’ilomorfismo,
dottrina filosofica metafisica, di ispirazione neoplatonica, esposta dal
filosofo giudaico Avicebron (1020-1070). Per la concezione ilomorfista tutto ciò
che è, è composto di materia e forma, considerando impossibile la sussistenza di
forme spirituali indipendenti dalla materia.
La storia della filosofia nel
termine filosofico di ilomorfismo o ilemorfismo, comprende quelle dottrine che
considerano appunto, le cose come costituite di materia e forma: con questa
designazione viene particolarmente indicata la teoria aristotelica della materia
e della forma.
Il successivo sviluppo arabo ed
ebraico dell’aristotelismo (Avicebron) ritenne che tutti gli esseri creati,
quindi anche quelli spirituali, fossero composti di materia e forma, delineando
così il principio della composizione ilemorfica universale. Tale teoria fu
accettata da Alessandro di Hales e da S. Bonaventura, il quale precisò che la
materia spirituale non è, come quella corporea, estesa e soggetta a privazione e
corruzione ma consiste piuttosto nella potenzialità insita in tutte le creature.
La dottrina della composizione ilemorfica universale divenne così propria della
corrente Francescana.
Dalla Scolastica che, in quanto
sistematizzazione cristiana dell’aristotelismo, ammetteva i capisaldi della
teoria ilemorfica e di quella della Potenza e dell’Atto (potenza ed atto sono
convertibili con materia e forma). L’ ilemorfismo passò nella moderna
Neoscolastica la quale tentò di dimostrarlo con due argomenti principali:
1-
La necessità di ammettere un elemento
indeterminato potenziale (materia prima) ed un elemento attuale determinante
(forma sostanziale);
2- Il
fatto che la coesistenza nei corpi di proprietà opposte esige due principi
diversi (materia prima e forma sostanziale) da cui queste derivano.
Ma con l’evoluzione della
scienza moderna, numerose furono le critiche che si levarono nei confronti dell’ilemorfismo:
in particolare contro le obiezioni da più parte mosse nei confronti dell’ilemorfismo
di essere incompatibile con le scoperte della scienza moderna, i neoscolastici
lo difendono avvalendosi di argomenti attinti alla meccanica quantica.
Nei tempi moderni il Leibniz
sostenne che tutti i fenomeni vitali, anche inconsci, sono dovuti all’azione
dell’anima.
IL VITALISMO
Altro itinerario di approccio
filosofico alla visione organica dell’arte e dell’architettura è quello del
Vitalismo Animistico.
Ad esempio, un’evidente forma di
Vitalismo Animistico è la dottrina di Platone e, parimenti, vitalistico ma con
tendenza all’ilomorfismo è il sistema già visto di Aristotele, adottato in
massima parte da S. Tommaso.
Con il termine di “Vitalismo”,
termine peraltro assai vago, si usano classificare tutte quelle dottrine che
pongono una differenza fondamentale tra il mondo inorganico ed il mondo
organico.
Mondi regolati, quello
inorganico dalle leggi fisiche, quello organico dalle leggi particolari della
vita, leggi che non dipendono da un unico e medesimo principio, bensì da due
principi diversi ed irriducibili.
Ne deriva che la vita non può
venire considerata come un fenomeno fisico di ordine superiore, ma deve venire
pensata come un fenomeno a sé, dipendente da una forza che, senza opporsi
all’esplicazione delle forze fisiche, opera indipendentemente da queste e, in un
certo modo, si sovrappone loro per fare della materia inanimata un essere
vivente.
Sulla natura di questo principio
vitale, gli studiosi vitalisti non sono concordi. Gli argomenti con cui essi
sostengono la differenza tra i due principi sono generalmente attinti dal
diverso modo di comportarsi degli esseri inanimati e degli esseri viventi.
In particolare per quanto
riguarda l’assimilazione, che è la facoltà peculiare dell’organismo vivente di
trasformare sostanze estranee in sostanza propria.
Questa facoltà manca del tutto
alle cose inanimate, le quali possono accrescersi soltanto per giustapposizione
e di sostanze eguali o simili.
I due mondi dell’inanimato e del
vivente, si distinguono poi per due ulteriori grandi differenze: la reattività e
la riproduzione. La reattività, che è la capacità di reagire a stimoli esterni,
di cui sono totalmente privi gli esseri inanimati, i quali non si muovono se non
per un impulso proveniente dall’esterno.
La riproduzione che nei viventi
avviene per un impulso interiore che determina una differenziazione (da un ovulo
fecondato provengono per differenziazione le varie parti dell’organismo vegetale
o animale) mentre gli esseri inanimati possono moltiplicarsi solo per divisione
o rottura dovute esclusivamente ad un agente esterno.
In tempi più moderni la corrente
del vitalismo, nelle sue diverse componenti, si evolve con la Scuola di
Montpellier, che sviluppa le idee enunciate dal medico P.J.Bartez: egli
attribuiva le manifestazioni della vita ad una forza che, pur non
identificandosi con l’anima, doveva essere tuttavia considerata come diversa
dalle forze materiali.
L’ORGANICISMO
Alle due correnti dell’Ilomorfismo
e del Vitalismo, si affianca la corrente iniziata dal fisiologo N.F.X. Bichat e
continuata, tra gli altri, da C. Bernard che assume, appunto, la definizione di
Organicismo.
Per questa corrente di pensiero,
invece, la vita non risulta da un principio vitale, ma dalla cooperazione di
forze o proprietà di natura non meramente fisica, particolari a ciascuno degli
organi di cui è composto l’essere animato:”La Vita” dice il Bichat”è l’insieme
delle funzioni che resistono alla morte”.
Nel contempo la grande fortuna
incontrata dall’evoluzionismo Darwiniano, poggiante su una concezione
meccanicistica della vita, per un verso metteva in ombra le dottrine
vitalistiche, mentre per l’altro provocava una decisa reazione concretatasi in
una tendenza vitalistica che prese il nome di “Neovitalismo”.
IL NEOVITALISMO
Esponente principale ne fu Hans
Driesch, il quale sostenne che l’organismo vivente contiene in sé una forza, da
lui detta “entalchia”: un principio naturale, proprio dell’essere vivente, che
agisce in esso, determinandone l’individuazione, pur essendo esso medesimo
superindividuale e soprapersonale.
Infine la concezione del Bergson,
il Vitalismo Metafisico, per il quale lo “slancio vitale” non presiede soltanto
alla formazione e allo sviluppo del mondo organico, ma è principio creatore, è
la dinamica della coscienza cosmica, che infonde nella materia, dopo averla
superata come ostacolo, la corrente di vita per cui la materia stessa si evolve
fino agli esseri viventi più perfetti.
ULTERIORI CONSIDERAZIONI
Non parrà superfluo, a questo
punto, ricordare una importante considerazione di Albert Einstein:”La cosa più
bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Esso è la sorgente di
tutta la vera arte e di tutta la scienza. Colui che non ha mai provato questa
emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare e rimanere rapito in timorosa
ammirazione, è come morto: i suoi occhi sono chiusi. Questo scrutare nei misteri
della vita, anche se misto alla paura, ha dato origine alla religione. Sapere
che ciò che per noi è impenetrabile esiste realmente, manifestandosi come la più
alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono
comprendere solo nelle loro forme più primitive, questa conoscenza, questo
sentimento, è al centro della vera religiosità. In questo senso, e solo in
questo senso, io appartengo alla schiera degli uomini profondamente religiosi.”
Nei tempi moderni, il crescente
successo della ricerca biologica, soprattutto nei settori più avanzati delle
biofisica, dalla biologia molecolare, dalla bio-cibernetica, mostrando come
settori sempre più vasti della biologia fossero riducibili a meccanismi
fisico-chimici, ha ridotto sensibilmente la diffusione delle idee vitalistiche
tra i biologi.
Ma in questi ultimissimi anni,
per la verità, si è registrata una ripresa di posizioni che, in termini molto
generali, potremmo definire “neovitaliste”.
Tali posizioni, però, lungi dal
sorgere nel campo dei biologi, sono state prospettate e sostenute da alcuni
fisici, alcuni molto noti come il Premio Nobel Wigner, Elsasser ed altri.
Interessante richiamare qui
quanto riporta Leopold Infeld nel suo libro intitolato: ALBERT EINSTEIN: L’Uomo
e lo Scienziato – La Teoria della Relatività e la sua influenza sul mondo
contemporaneo.
La Teoria dei Campi può
consentire interessanti intuizioni nella concezione dello spazio e della
materia. Nel capitolo intitolato “Alla ricerca dell’Unità” tra campo
gravitazionale, campo elettromagnetico, l’autore evidenzia come, nella Teoria
della Relatività Generale, si sia visto che il campo “geometrico” è anche il
campo “gravitazionale”. Le equazioni di campo della Relatività Generale, sono le
equazioni di questo campo gravitazionale o geometrico. Esso è dato da masse
date, dalle loro velocità note e anche dal campo “elettromagnetico”.
La Teoria della Relatività
Generale tratta questi due campi, quello gravitazionale e quello
elettromagnetico, in due maniere completamente diverse: il campo gravitazionale
è anche un campo geometrico.
Ma il campo gravitazionale è
diverso: esso, ed esso solo, caratterizza la geometria del nostro mondo. Nel
campo gravitazionale si ha, per così dire, un aspetto fisico ed uno geometrico.
Nel campo elettromagnetico si ha invece solo l’aspetto fisico.
……………………………………………………………………..
Dal punto di vista di una teoria
di campo, invece di dire “questa è una particella” si dovrebbe dire
piuttosto”questa è una regione in cui il campo è fortissimo”. Invece di dire
“una particella si muovo” si dovrebbe dire:”il campo varia nel tempo e la
regione in cui il campo è forte, si sposta”.
……………………………………………………………………...
I concetti di particelle e del
loro moto dovrebbero essere considerati in una teoria unitaria di campo come
concetti di regioni in cui il campo è forte e di variazioni di tali regioni nel
tempo e nello spazio.
Queste considerazioni possono
lasciar adito ad interessanti ipotesi di convergenza tra concezioni scientifiche
e filosofiche tali da consentire una esauriente definizione del concetto di
“organico” in architettura, nell’arte, nella visione del mondo in generale.
LA VISIONE ORGANICA IN
ARCHITETTURA: POSSIBILI RIFERIMENTI FISIOLOGICI E PSICOLOGICI.
Atteggiamento peculiare della
visione organica in architettura è la nuova considerazione degli aspetti
psicologici ed emotivi dell’essere umano che devono ritrovare, nello spazio
architettonico ed urbano, piena risonanza.
Cerchiamo quindi di andare a
trovare, in una vasta letteratura, quelle definizioni che ci possono consentire
di indagare in maniera approfondita, l’essenza degli aspetti emotivi e
psicologici della poetica organica.
Con la denominazione di
sensazioni organiche o interne, si intendono tutte le sensazioni
(nell’accettazione fisiologica del termine) che provengono dagli organi interni
del corpo, i quali, se provvisti di nervi centripeti, sono dotati di
sensibilità.
Le sensazioni interne non hanno
un valore conoscitivo così evidente come le sensazioni esterne che ci mettono in
diretto contatto con il mondo fisico; tuttavia esercitano un’azione
importantissima per gli stati affettivi ed emotivi che vi si accompagnano e che
si manifestano quando, durante certi stati patologici, la sensibilità degli
organi è esaltata ad un grado eccessivo.
Il capitolo delle sensazioni
organiche interne è tuttora relativamente oscuro in molti suoi aspetti ed è
stato per lungo tempo trascurato rispetto al capitolo che considera le
sensazioni esterne.
Attualmente, però, si riconosce
il grande valore di queste sensazioni che, fuse insieme e coordinate, sono
all’origine del cosiddetto “sentimento corporeo” per il quale noi conosciamo il
nostro corpo e lo distinguiamo da quello degli altri.
Il sentimento corporeo è senza
dubbio la base fisiologica della coscienza delle personalità.
Bisogna notare come le
sensazioni organiche si accompagnano sempre a sentimenti complessi che si
manifestano all’osservazione immediata come sentimenti diffusi di benessere o di
malessere, di sforzo o di tensione. Possono anche manifestarsi come bisogni,
detti istinti, di fame, di sete e sessuali, ed anche infine come stati affettivi
si sazietà e di voluttà.
Difficilmente, come nelle
sensazioni cutanee di dolore, il fatto sensoriale appare separato dal fatto
emotivo che vi si accompagna; tuttavia, mediante l’analisi accurata, si riesce a
tenere distinti i due lati delle sensazioni organiche.
La sensazione che deriva dagli
stimoli sessuali, ad esempio, può essere avvertita prima come un confuso stato
sensoriale, che viene anche localizzato, e in seguito, per associazione con
l’immagine di esperienza anteriori, si muta in un bisogno vero e proprio, che è
il punto di partenza di manifestazioni complesse, istintive e volontarie, le
quali caratterizzano l’agire sessuale.
Le sensazioni organiche, che
vengono da alcuni interpretate come sensibilità tattile profonda, si possono
distinguere in due grandi categorie: sensazioni cinestetiche e sensazioni
viscerali.
Possiamo, quindi, infine
ipotizzare che l’ambiente esterno abbia una significativa influenza sulle
sensazioni organiche profonde, così come le nostre sensazioni organiche profonde
possono trovarsi o meno in armonia con l’ambiente esterno e con quello
architettonico.
Si può quindi presumere che
un’assonanza tra sensazioni organiche ed emozioni generate dall’ambiente esterno
od architettonico, comportino quella sensazione di armonia che si traduce in
benessere psicologico per l’individuo.
ARCHITETTURA ORGANICA: IPOTESI
DI CONSIDERAZIONI FINALI.
Quanto riportato nelle pagine
precedenti non vuole assolutamente costituire un documento o un manifesto
compiuto per l’Architettura Organica.*
Costituisce, invece, una
raccolta del tutto personale di “flashes” tratti soggettivamente, emotivamente
ed acriticamente da una lunga serie di letture fatte nel tempo, da una persona
senz’altro pregiudizialmente orientata verso una concezione organica
dell’architettura, quale io ritengo di essere.*
Conoscendo bene i limiti, l’occasionalità,
la casualità e la estemporaneità della mia formazione culturale e professionale,
forse troppo spesso soggetta alle condizioni e pressioni del contingente,
ritengo di poter comunque proporre gli argomenti esposti come base di una
discussione, i cui esiti non risultano sin d’ora affatto scontati.*
La discussione che potrebbe
seguirne, può anche azzerare del tutto quanto da me raccolto ed esposto
schematicamente in queste pagine, ma ritengo doveroso espormi a questo probabile
esito in quanto ritengo assai più utile, anche a me stesso, promuovere un ampio
dibattito sulla concezione organica, che cullare nel mio ristretto e soggettivo
orticello, la presunzione di averne capito l’essenza nei campi dell’arte e
dell’architettura.*
Sperando quindi che queste
pagine suscitino perlomeno la voglia di confutare, negare e ribaltare quanto in
esse esposto, non mi rimane che auspicare di aver provocato un dibattito
dissipatore e chiarificatore che possa giungere ad una oggettiva definizione
dell’Architettura e dell’Urbanistica Organiche alle soglie del Terzo Millennio
d.C., tracciando la strada per la sua certa evoluzione futura.
FONTE : Adriano Conti , architetto e Presidente dell'AIARCO - Associazione Interregionale di Architettura Organica. Sito web dello studio di progettazione con il figlio Fabio: www.idroprogetti.com .
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