domenica 21 luglio 2019

APPUNTI SULLA LINGUISTICA ARCHITETTONICA, di Giovanni Michelucci




APPUNTI SULLA LINGUISTICA ARCHITETTONICA
di Giovanni Michelucci
Maestro dell'Architettura Organica e Sociale Italiana  (1891-1991)




Poco dopo la seconda guerra mondiale, costruii alcuni edifici che, se furono bene accolti dalla critica, non mi lasciarono soddisfatto. Sul momento non mi fu chiara la ragione di questa insoddisfazione; sentivo solo che rischiavo di seguire una strada senza sbocco. Forse avrei potuto indugiarmi ad affinare, perfezionare le cose già dette, ma nulla di più e, forse, nulla di meglio.
In un tempo non breve, e con fatica, compresi che l'insegnamento che avevo ricevuto nella scuola di architettura mi aveva condizionato, mi aveva messo in testa certi principi, certe "invarianti" da cui non sapevo liberarmi. Anche perché le opere dalle quali quei principi derivavano erano di alto valore architettonico.
E quel condizionamento vanificava ogni possibilità di parlare un linguaggio moderno, perché, in ultima analisi, la scuola mi aveva convinto (altrimenti non l'avrei seguita) che lo studio di un progetto consisteva nel fare di ogni edificio un piccolo grande "monumento" che rispondesse ai canoni classici. Il Garnier era per quella scuola l'architetto moderno per eccellenza, al quale bisognava sempre ricorrere, per capire e fare architettura moderna. Naturalmente al Garnier si arrivava dopo gli esempi antichi, fra i quali il celebratissimo Palazzo Strozzi: questo "mostro" che, indifferente agli infiniti suggerimenti ed ai richiami della struttura cittadina, si è insediato egoisticamente, di prepotenza, nella città, schiacciandola con il suo peso e determinando una soluzione di continuità nel tessuto stradale. Gli "assi", la "simmetria" sono qui esaltati con tale maestria, da costituire un insegnamento difficilmente dimenticabile, che ha influenzato per secoli l'architettura dei palazzi e poi di tutte le banche e di tutti gli Uffici di Assicurazione, particolarmente nella Toscana, nella intelligentissima, colta, sensibile, "tradizionale" Toscana.
Per uscire dalla strada sulla quale mi aveva condotto la scuola, dovevo considerare quello che essa non considerava, la vita, cioè come si muovevano e si comportavano gli uomini, e come mi comportavo io stesso; le reazioni singole e collettive agli avvenimenti, agli ostacoli, alle manifestazioni di varia natura, per poi trarre alcune conclusioni sul rapporto fra tutto questo e la forma urbana.
Fu per me una scoperta, tanto che, essendo in quel tempo Preside della Facoltà di Architettura, proposi, in una riunione di docenti, di aprire la porta della scuola alla popolazione: agli artigiani, ai tecnici, ai commercianti ecc. perché parlassero con gli studenti. Proposi di abolire l'insegnamento della "composizione architettonica" e di dare maggiore rilievo a quello delle materie scientifiche. E ciò per rinnovare l'aria di quella scuola nella quale io stesso avevo studiato e di cui avevo constatato gli effetti negativi; e per offrire agli studenti le occasioni di prendere contatto con la vita.
Ledoux ha presentato l'architetto come un "titano terrestre rivale del creatore". E qui sta il male, perché la presunzione di quel titano ribelle a Dio pesa spesso sulle creature: sugli uomini, cioè su tutti noi, fino ad alienarci. Perché la sfida a Dio è la sfida agli uomini.
Prendere contatto con la vita, guardare all'uomo ed attenersi al suo dettato, non significa registrare la realtà umana così come si pone quotidianamente con i suoi lati positivi e negativi: né significa registrare le sue fattualità puntuali. Significa invece capire lo stato di civiltà, il modo di essere e di sentire dell'uomo, la via del suo destino, per proporre alternative di libertà in una prospettiva che va necessariamente oltre ogni geometrismo e che rifiuta l'assiale, il simmetrico, che costringono l'uomo, non lo liberano.
Considerata la simmetria come un dato del linguaggio classico e l'asimmetria un dato di quello moderno, possiamo affermare però che l'architettura moderna non nasce dall'apparire della prima finestra orizzontale o dalla prima porta asimmetrica, ma da una svolta del pensiero verso la ricerca di una nuova dimensione del vivere, di una misura cioè che liberi l'uomo dalle forme ossessive del potere: misura spesso tanto invocata, quanto puntualmente disattesa.
Un piccolo esempio: il sedile di pietra posto attorno al Palazzo Strozzi, che sembra invitare il cittadino a riposarsi, si risolve invece in un mero fatto decorativo. Privo di senso: quindi antiarchitettonico.
Evidentemente la asimmetria non crea un'opera architettonica moderna. Se gli edifici pubblici e privati, pur asimmetrici, conservano il loro perimetro sbarrato alla città da un cristallo infrangibile, o da un muro; se la città non può penetrare e vivificare gli spazi interni e stabilire una continuità con quelli esterni, l'opera non è moderna. In realtà non è architettura.
La asimmetria, dunque, non è come tale né architettura né antiarchitettura: ma è una "condizione" del linguaggio architettonico moderno.
L'uomo è libertà, non costrizione. L'uomo, come qualcuno ha detto, è un animale simbolico. Dunque il suo essere è nel processo di creazione della vita, della sua vita. La creazione è invenzione di nuove forme, di possibilità inedite. Così nulla si oppone di più alla creazione, quanto il geometrismo che è la logica della simmetria.
Si dirà che la simmetria è il linguaggio architettonico classico: è vero e non è vero. In realtà nell'opera d'arte classica non è che trionfi la simmetria: la simmetria è solo una modalità espressiva di una profonda istanza d'equilibrio e di armonia; quindi di un modo di essere della sensibilità.
Ora, la dimensione del vivere è un'altra; un'altra è la misura dell'uomo. Altro è, dunque, il modo della sensibilità. Ed è per questo che "quella simmetria non parla più". Da ciò la ricerca di una "simmetria diversa", che per intenderci chiameremo "asimmetria".
Le "invarianti" proposte recentemente sono la storia degli ultimi cinquant'anni di architettura. Fare la storia significa insegnare a pensare architettonicamente. La storia dell'architettura si pone come metodo dell'architettura, e tanto più si pone come metodo, quando meno lo storico vuole porlo e proporlo.
Ogni ricostruzione storica è necessaria per capire in quale modo si sia riusciti (se si è riusciti) a creare unità e armonia tra i vari aspetti della vita (sociale-economica-culturale). Ogni civiltà manifesta il suo valore dal modo con cui ha raggiunto quell'armonia e quell'unità, alla cui base è sempre l'uomo, l'uomo sociale, con i suoi valori etici, con il suo benessere, ecc.: una vicenda strettamente condizionata, nella quale cambiano i modi espressivi, ma non muta il soggetto della storia. Cambia il modo di porre i problemi, uno dei quali resta costantemente sulla scena drammatica della vita e che è la ricerca e la costruzione dello spazio della libertà, in un perenne conflitto umano ed urbano.
Ogni ricostruzione storica è sollecitata dal presente e deve agire sul presente per vincere le resistenze più tenaci. Le quali si vincono, se al fare degli uomini si pone l' "invariante" riferita all'uomo, all'umanità, quali soggetti immutabili della storia. Giovanni Michelucci



 

 
   Bruno Zevi sulle considerazioni di Michelucci

"... Passiamo ora agli appunti di Michelucci. Additandoli anzitutto ad esempio. Così gli architetti, giovani o maturi, dovrebbero intervenire nel dibattito sul linguaggio: testimoniando sul loro lavoro con modestia, serietà ed intelligenza, e non improvvisandosi semiologi e divagando ad un livello pseudo-teorico. Questi appunti di Michelucci sono una lezione di moralità. Tanto che definiscono l'asimmetria "una condizione del linguaggio architettonico moderno", e poi confermano: "nulla si oppone di più alla creazione, quanto il geometrismo che è la logica della simmetria". Palazzo Strozzi, Ledoux e Garnier: ecco i mostri contro i quali Michelucci ha dovuto combattere con estrema fatica e che è riuscito a sconfiggere nella sua arte colta e popolare, satura di storia e dissacrante, aperta al quotidiano dell'uomo ma diffidente verso l'umanesimo astratto. In "Spazi dell'architettura moderna", Michelucci viene definito "il migliore artista italiano della sua generazione". La sua opera e il suo pensiero incutono rispetto e ammirazione; ancor più, suscitano affetto e solidarietà. Di fronte a questi appunti, possiamo dire a Michelucci una cosa sola: grazie, senza la tua presenza, noi saremmo infinitamente più poveri, e smarriti..." Bruno Zevi




Fonte :  Testo tratto da L'architettura, cronache e storia n°227 del settembre 1974 (vedi anche l'articolo integrale al seguente link : www.antithesi.info/testi/testo_2.asp?ID=188 )

FONDAZIONE GIOVANNI MICHELUCCI :   http://www.michelucci.it 
















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