Bruno Zevi
L'ARCHITETTURA ORGANICA E L'APAO
DI FRONTE AI SUOI CRITICI
Amici
congressisti delle APAO,
non è
senza titubanza ch'io mi accingo a parlarvi di architettura organica. Mi è
capitato spesso di trattare e di scrivere sull'argomento, ma confesso che questa
è la prima volta che mi trovo a parlare di architettura organica ad un consesso
di architetti organici. E' vero che noi diciamo che il carattere
distintivo dell'architettura organica rispetto a quella razionale è di essere
funzionale anche sul terreno della psicologia; ma qui non si tratta di
psicologia, sibbene quasi di una seduta di psicoanalisi collettiva, in cui
dobbiamo insieme discutere su quei germi corrosivi e, per fortuna,...infettivi
che, nella casistica delle nevrosi moderne, danno luogo a quella strana malattia
che va sotto il nome di... APAO.
Quando ci
trovammo a stabilire il programma di questo congresso, alcuni proposero di
dedicare qualche ora a dibattere gli aspetti culturali dell'architettura
organica. Ma ritirarono subito la proposta non tanto per tema di
trasformare questa riunione in un incontro pugilistico, quanto perché tutti
avevano la sensazione che ormai l'APAO vale assai più dell'architettura
organica. Avviene in tutti i partiti e in tutte le associazioni. Si
parte da un credo politico o culturale, poi ci si fanno le ossa, si creano e si
sviluppano valori di collaborazione, di vita vissuta insieme, di comuni opere,
di solidarietà, e ad un certo punto questi valori acquistano un'importanza
autonoma, divengono essi stessi la giustificazione dell'essere associati.
La nostra fedeltà all'APAO trascende la valutazione del suo credo
architettonico; l'associazione raccoglie ormai le migliori forze
dell'architettura moderna italiana dalla Sicilia al Piemonte; lavorando a
Torino, voi piemontesi sapete di perseguire intenti per cui operano i giovani
architetti di Palermo e di Catania, e questa coscienza dà forza e fiducia, crea
un ambiente psicologico di vincoli umani che costituisce una zona di attrazione
anche per coloro che altrimenti non si sentirebbero di firmare questa nostra
antica Dichiarazione di Principii di colore cospiratorio e carbonaro.
Prima che una poetica comune, ci lega una profonda passione di rinnovamento
della scena fisica e morale del nostro paese, una generosità, una volontà di
operare su un piano che va al di là degli interessi grettamente professionali e
personali. In tre anni di lavoro, abbiamo creato le tradizioni dell'APAO;
sì che, se qualcuno venisse qui questa sera a dimostrarci che l'architettura
organica non esiste, che nulla ha un senso di ciò che noi predichiamo
culturalmente, e, per uno strano scontro di costellazioni, riuscisse a
convincerci tutti, noi risponderemmo: dunque cambiamo nome, e continuiamo a
lavorare.
Non è per
un caso che delle due associazioni di architettura moderna che preesistevano
all'APAO, cioè l'MSA di Milano e la PAGANO di Torino, una di esse si sia unita
al nostro movimento. E perché? Perché si richiamava ad un uomo che per noi tutti
è segno e simbolo della missione, del coraggio e della vocazione dell'architetto
moderno. Al di là del credo teorico di Giuseppe pagano, al di là degli
errori ch'egli commise e dei compromessi che accettò, c'è e resta e sola vale la
tensione della sua azione, il tempo della sua vitalità, la capacità e la
generosità del suo fare. Quando voi torinesi avete trasformato la PAGANO
in APAO, l'avete fatto perché sentivate che Pagano - indipendentemente dalle sue
intuizioni sull'architettura organica e dalla risonanza che aveva dato in "Casabella"
al pensiero di Persico su Wright - indipendentemente da ogni valutazione
teorica, sarebbe stato con noi, perché tutta la sua vita, con i suoi errori e
col suo eroico splendore, fu qualificata da questa generosità nell'agire, da un
temperamento che preferiva magari una parzialità atta a scoprire nuovi orizzonti
piuttosto che una verità generica e infeconda.
Contro
l'agnosticismo.
E con
ciò, credo di aver risposto alla principale critica che ci vien mossa da parte
degli "obbiettivi o degli agnostici. essi ci dicono che la architettura
non ha bisogno di aggettivi, che l'arte rifiuta attributi, e che di conseguenza
l'architettura organica non esiste. Ebbene, amici, chiunque ci conosce sia
pur di lontano dovrà ammettere che noi non siamo illetterati fino al punto di
non sapere che all'arte non si danno aggettivi. Ma questo non basta
affatto a giustificare la posizione di sordo agnosticismo che vige nel campo
avversario. L'arte non ammette aggettivi, ma il mondo morale, pratico,
intellettuale e, se volete comprendere anche i mezzi espressivi, la poetica
sulla cui base nascono le creazioni degli artisti, richiedono caratterizzazioni
e perciò ammettono aggettivi. Se l'arte organica non esiste, e nessuno di
noi ha mai sostenuto che esista, c'è però, pienamente legittimo dal punto di
vista filosofico e critico, un indirizzo dell'architettura organica, ed è quello
che noi affermiamo.
L'APAO ha
il grande merito di aver spezzato l'agnosticismo architettonico in Italia,
quell'agnosticismo vuoto di fedi e di passioni per cui l'arte è arte sia che si
faccia oggi con le colonne e con gli archi oppure coi mezzi moderni; quell'agnosticismo
che concepisce l'arte al di fuori della storia e della vita. I nostri
avversari sono architetti senza aggettivi, senza nemmeno il vago aggettivo di
moderni, perché sono uomini ormai senza coraggio in architettura e in critica;
si limitano a mormorare, a ridacchiare senza gioia, non hanno mai scritto un
rigo per criticare quello che noi avevamo detto e fatto, sfuggono ad ogni serio
dibattito, non hanno idee da difendere ma solo posizioni da conservare. In
verità essi costituiscono, nel campo dell'architettura, la traduzione di ciò che
il trasformismo è in politica: una serie di clientele tenute insieme da
interessi più o meno evidenti, culturalmente inesistenti o dannosi, di carattere
effimero. Bargellini, l'unico che abbia scritto qualcosa contro
l'architettura organica, si è limitato a criticare la teorica di Wright (e
davvero non ci vuol molto a trovare contraddizioni nella pseudo-filosofia di un
genio!); ma onestamente, quando si è riferito alla nostra impostazione
dell'architettura organica, ha dichiarato che era seria ed acuta.
Noi siamo
pronti a discutere e a rivedere ogni nostro punto con chiunque desideri farlo.
Ma combattere il muro cieco e dispersivo degli agnostici è tempo perso, e non
possiamo far altro che lasciarli alle loro mormorazioni.
Diffusione della tendenza organica.
Vengo
alla seconda critica, assai più valida , che suona esattamente antitetica alla
prima; ci vien mossa internamente, da membri dell'associazione e da
simpatizzanti. Non ci accusa di voler essere troppo precisi conla specificazione
di organico apposta all'architettura, ma solleva l'obbiezione contraria: che
cos'è questa architettura organica? Ci avete spiegato vagamente il suo indirizzo
morale, ma dov'è architettonicamente? In altre parole, come si fa a farla?
E' una
critica su cui richiamo la vostra attenzione. Ciò che noi abbiamo detto e
diciamo sull'architettura organica non basta alla maggioranza di coloro cui ci
rivolgiamo: dobbiamo essere assai più specifici.
Ricordo
un aneddoto. Un giorno, qualcuno che aveva trovato la lettura della Bibbia
eccessivamente noiosa, domandò ad un filosofo ebreo di definirgli il significato
delle Sacre Scritture in non più di dieci parole. Il filosofo rispose: "
Ama il prossimo tuo come te stesso; tutto il resto è commento, va e studia
". Anch'io quando, correndo ad un appuntamento, sono fermato da
qualche collega che mi domanda, non senza una certa ironia, di dirgli su due
piedi che cos'è l'architettura organica, rispondo: " L'architettura organica
è l'architettura funzionale che è funzionale rispetto non solo alla tecnica e
allo scopo dell'edificio, ma anche alla psicologia degli abitanti. Tutto il
resto è commento, va e studia ". Ma voi comprendete benissimo che se
questa è una risposta-boutade meritata da uno scocciatore mezzo-intellettuale
che vuol far finta di essere furbo, essa è del tutto inefficace per ciò che
riguarda la massa di onesti professionisti, geometri, ingegneri civili, che si
interessano ai nostri problemi e da cui non possiamo pretendere un
approfondimento culturale.
L'esigenza di una popolarizzazione dell'architettura organica è così evidente
che io avrei voluto intitolare questo discorso " il manierismo dell'architettura
organica " e dedicare tutto il tempo a questo tema. Manierismo
dell'architettura organica? Sembra assurdo: il manierismo
dell'anti-manierismo. E, sotto un certo aspetto, è un paradosso. Ma
considerate questo problema: vicino ai pochissimi poeti, in ogni epoca sorgono
larghe schiere di manieristi che creano l'ambiente artistico, quell'insieme di
simpatie e di consensi che facilitano il prevalere del genio. Anche oggi,
un'infinità di costruttori, di geometri, di ingegneri civili, anche di
architetti minori, ha bisogno di un metodo, ha bisogno anche di copiare.
Copiavano il classico, oggi copiano lo pseudo-moderno di Piacentini o gli
arredamenti di ponti. E' così, e, allo stato attuale della nostra
educazione, è fatale che sia così. Ora, se l'architettura organica
costituisce un vero e proprio movimento culturale, noi dobbiamo ammettere che
essa non si identifichi con l'architettura bella, ma sia solo un atteggiamento,
un metodo di fare l'architettura, una poetica che nel genio darà luogo a
capolavori, nei minori ad opere soltanto dignitose e decenti. Nessun
cubista pretenderà che la pittura cubista sia quella bella, e la pittura
non-cubista sia negativa. Sosterrà che il cubismo è un vocabolario
figurativo o, al massimo, una poetica: ci sono opere d'arte cubiste come quadri
cubisti mancanti o, per usare la distinzione esposta questa mattina dal prof.
Pane, poesie cubiste e letteratura cubista. Anche noi, se intendiamo
diffondere, popolarizzare le nostre idee, dobbiamo anzitutto affermare che
l'architettura organica è una caratterizzazione artistica e, come tale, può dar
luogo a poesia e a prosa, ad opere eccellenti e ad opere artisticamente nulle.
Cioè può dar luogo ad un manierismo.
So
benissimo che tutti arricciano il naso alla sola parola di manierismo, che è
generalmente segno della decadenza di un movimento vitale. Ma nella
presente situazione italiana il manierismo c'è, ed è quello piacentiniano e
pontiano. Non riteniamo noi che un'opera di architettura organica, anche
se non è opera d'arte, sia per lo meno più attuale, più moderna, più utile
socialmente di una brutta casa pseudo-funzionalista o pseudo-piacentiniana cioè
pseudo-pseudo-moderna? E allora dobbiamo avere il coraggio di formare noi
il manierismo, di proporci, per esempio, collettivamente una pubblicazione che
spieghi anche al più insensibile geometra come si fa a progettare una casa
organica. Dobbiamo noi controllare, guidare, in certo modo anche provocare
il manierismo organico pur sapendo che da esso non potranno venir fuori altro
che opere di... maniera. Diciamolo francamente: siete opposti al
manierismo per qualche ragione autentica, o perché vi sembra difficile stabilire
concretamente che cos'è questa benedetta architettura organica? In questo
secondo caso, dato che si tratta di un'esigenza pratica per tutti gli artisti
minori, tutti i prosatori dell'architettura, il manierismo è un compito che
dobbiamo affrontare.
Il
funzionalismo non aveva bisogno di porsi questo problema perché il suo
dizionario figurativo a-decorativo e volumetrico e il suo atteggiamento
compositivo erano rigidi anche in Le Corbusier. Per fare il paragone più
noto, confrontiamo la Villa Savoie e Falling Water. ditemi voi: è o non è
poetica rigida, dovendo costruire una villa in aperta campagna, cominciare da
una pianta che sia un quadrato perfetto? E' o non è poetica disegnare
quattro facciate identiche, anche se su una di esse si affacciano i soggiorni,
sull'altra le camere da letto, sulla terza addirittura una terrazza? E' o
non è poetica di mera volumetria sospendere tutto l'edificio su pilotis?
Ebbene, se questa è poetica e noi non la seguiamo, e se preferiamo il metodo di
Wright e quello di Aalto, abbiamo il dovere di specificare che cos'è questo
metodo. Noi non possiamo rispondere con aria di superiorità e con
un'alzata di spalle a coloro che ci domandano: insomma ce lo volete dire, si
o no, che cos'è quest'architettura organica, e come si fa a farla?
Non è qui
nemmeno il caso di accennare al mio pensiero in proposito a che cosa io credo
sia il carattere specifico dell'architettura organica. Ho illustrato il
mio punto di vista in un saggio di prossima pubblicazione, in cui cerco di
dimostrare che l'originalità dell'architettura organica consiste principalmente
nel suo metodo di concepire in termini di spazio. Il segreto della poetica
di Wright e di Aalto sta principalmente nel loro pensare a i vuoti
architettonici, allo spazio interno; solo in un secondo tempo, e in funzione
dello spazio interno, essi si interessano della volumetria e della decorazione.
Il punto fondamentale dell'architettura organica è, secondo me, questa
dichiarazione di indipendenza non solo dai fatti decorativi, ma anche dalla
composizione volumetrica, geometrico-purista e stereometrico-neoplastica,
l'accento sul vuoto, sullo spazio della casa e della città dove l'uomo vive e
dove il tema sociale si esprime. A me pare che l'istanza sociale, che è il
motore di tutta la nostra azione, trovi un punto di riferimento concreto in
architettura proprio in questa concezione spaziale, nel portare cioè
l'attenzione sul contenuto spaziale, per così dire, anziché sul contenente
edilizio, e nel creare l'edificio in nome del contenuto umano. Ma su
questo, che doveva essere il tema di tutto il mio dire, non voglio dilungarmi.
Frank
Lloyd Wright e l'APAO
Una terza
critica al nostro movimento è di carattere così volgare che la trascurerei se
non desse motivo di fare alcune utili precisazioni storiche.
"
L'architettura organica - essa dice - è uno stile di importazione
americana, e consiste nel seguire Wright ".
Se fosse
vero che l'architettura organica fosse stata portata in Europa da qualche
americano, o sia pure dall'esercito americano, noi non troveremmo da sollevare
nessuna obbiezione. Alla metà del XV secolo, caduta Costantinopoli,
architetti greci emigrarono in massa nel nord, e in tutto il continente europeo
e in Inghilterra rafforzarono il moto della Rinascenza. Nel 1933, Hitler
costrinse all'emigrazione gli architetti della Bauhaus, e Gropius e Breuer in
Inghilterra collaborarono grandemente alla diffusione della architettura
funzionalista. Se la critica fosse esatta, se gli americani, venendo in
Italia, avessero chiarito e facilitato il prevalere di una corrente che
evidentemente esisteva già per lo meno nelle intenzioni (altrimenti non avrebbe
potuto svilupparsi così velocemente) noi non ci vedremmo nulla di male.
Ma la
verità è un'altra: il moto di liberazione degli schemi funzionalisti, il
processo di umanizzazione dell'architettura era sorto in Europa assai prima
della guerra, si è affermato nel 1933 in Svezia, in Finlandia, in Inghilterra e,
come istanza culturale, anche in Italia benché qui la progressiva involuzione
politica abbia frenato la naturale maturazione del funzionalismo nella tendenza
organica, irrigidendo le posizioni funzionaliste costrette alla più dura ed
eroica difesa.
La
ragione dell'equivoco che ci definisce seguaci di Wright, quando di equivoco si
tratta e non di malafede, deriva, io credo, da una insufficiente comprensione
della genesi dell'architettura organica. Se, per esempio, rileggete il mio
libro " Verso un'architettura organica ", vi trovate qualcosa di sconcertante.
Vi si afferma che l'architettura organica sorge con Wright nel primo decennio
del nostro secolo; poi si sviluppa, come compiuto movimento
internazionale, il funzionalismo europeo alla fine dell'altra guerra; poi,
intorno al 1933, nasce da questo funzionalismo, come discorso intorno di esso ma
con precisi caratteri distintivi, un movimento organico europeo che, in certo
modo, si riconnette a Wright. Tutto questo è esatta constatazione di
fenomeni storici, ma lascia un po' dubbiosi: come mai l'architettura organica
europea, che è figlia del funzionalismo, si imparenta così intimamente con
l'architettura organica americana che è precedente al funzionalismo?
Evidentemente c'è qualcosa di confuso, che può essere chiarito solo con una più
acuta indagine nella storia dell'architettura moderna.
Il
funzionalismo non nasce con Le Corbusier in Europa nel 1920, ma in America nel
periodo 1880-90, in quella Scuola di Chicago che aveva annunciato quasi tutto
ciò che è stato formulato in Europa quarant'anni dopo e che aveva prodotto il
genio di Sullivan. L'architettura organica di Wright non nasce dal nulla,
ma è il preciso sviluppo dell'architettura funzionalista di Sullivan. Se
volete una proporzione semplificatrice, Wright : Sullivan = Aalto : Le
Corbusier. Ricorderete l'aspirazione di Sullivan: " io cerco in
architettura una regola che non ammetta eccezioni ", e la risposta di wright:
" Ogni uomo ha una regola, per ogni uomo una casa, per ogni casa uno stile
". E' lo stesso rapporto mentale, se volete, la stessa antitesi che
qualifica la nostra posizione rispetto a Le Corbusier. Non esiste più
perciò questa strana sequenza storica: architettura organica americana -
architettura funzionalista europea - architettura organica europea , cioè
maturazione - funzionalismo - maturazione. esiste un'architettura
funzionalista americana da cui discende l'architettura organica di Wright , e
un'architettura funzionalista europea da cui deriva il nostro movimento.
questo
chiarimento storico implica un giudizio sull'assurda leggenda che noi
saremmo i discepoli o i seguaci di Wright. Lo stesso rapporto che è
esistito tra la Scuola di Chicago e il funzionalismo europeo, esiste oggi tra
l'architettura organica di Wright e la nostra. Se voi considerate la
diffusione e la vitalità del funzionalismo di Le Corbusier a confronto del
Messaggio di Sullivan, potrete avere la misura degli orizzonti che ha davanti a
sé l'architettura organica europea, orizzonti che trascendono l'apporto
culturale di Wright.
Dopo tre
anni di APAO, possiamo affermare che l'architettura organica italiana, anziché
essere merce di importazione, ha già prodotto qualcosa che può essere utilmente
esportata. Pensate soltanto al saggio su Wright che ha scritto Argan e che
è stato pubblicato su "Metron" : esso presuppone tutta la cultura
storico-critica italiana, e perciò va più avanti di qualsiasi saggio composto in
America. Il funzionalismo nacque in America, ma si sviluppò e si chiarì in
Europa con tale forza ed energia che poi fu riesportato in America con Neutra e
Lescaze. lo stesso avviene già per l'architettura organica con Aalto, e
noi qui in Italia, dove vive una coscienza filosofica e critica assai più
matura, abbiamo la possibilità di dare un nostro contributo di validità
internazionale alla cultura dell'architettura organica.
Il
romanticismo e l'architettura organica.
Passo
all'ultima obbiezione, secondo la quale il movimento dell'architettura organica
sarebbe di natura romantica. C'è perfino che, su "Stile", ha affermato
l'ineluttabilità dell'avvento dell'architettura organica, quasi la necessità
storica della realizzazione delle nostre tesi: hanno fatto di noi, cari amici,
tante... donne fatali. Il ragionamento, se così vogliamo chiamarlo, di
"Stile" è il seguente: in tutta la storia dell'architettura, assistiamo
all'alternarsi inesorabile di movimenti classicisti e di reazioni romantiche.
La Grecia di Pericle è classica, ma l'ellenismo è romantico; la Roma imperiale è
classica, ma la decadenza, il barocco romano, è romantico; è classica la
cristianità (protocristiano, bizantino e romanico: tutto un fascio!), ma è
romantico il gotico; è classico il Rinascimento, ma è seguito dalla reazione
romantica del barocco; a questo succede il neoclassicismo e poi, di nuovo, il
romanticismo dei Revivals; contro l'eclettismo romantico dell'800 insorge il
classicismo funzionalista; perciò, si conclude, indipendentemente dalle volontà
individuali, al funzionalismo classicista deve per forza seguire il movimento
romantico dell'architettura organica.
Se noi
tenessimo alla propaganda più che alla serietà culturale, potremmo dire, come si
usa a Roma, " tutto fa brodo! ", e accettare anche questa pretesa
fatalità del nostro essere organici. Ma l'attributo di romantico è così
equivoco che val meglio rifiutarlo del tutto.
Che cosa
vuol dire romantico? Se porre sulle esigenze pianificatrici del mondo
moderno l'istanza della libertà e della personalità umana vuol dire essere
romantici, ebbene lo siamo. Se romanticismo significa dichiarazione di
indipendenza dal meccanicismo funzionalista, dal suo materialismo tecnico, dagli
schemi figurativi del cubismo, dagli incubi costruttivisti, allora siamo
romantici. Se vuol dire smetterla con le regolette della sezione aurea, e
con i giochetti volumetrici neoplastici divertentissimi in un bozzetto quanto
poveri di fantasia negli edifici costruiti, se vuol dire differenziare,
intendere che il problema dell'architettura è assai più complesso di quanto
pensi questa nuova accademia formalista o dogmatica, e prendere senza timore la
strada di questa problematica differenziata, dichiariamoci pure romantici.
Ma se col termine romanticismo si vuol definire una mera ribellione alla regola,
una rivolta contro i presupposti scientifici della civiltà moderna, un divagare
anziché una maturazione, allora no, noi rifiutiamo decisamente l'attributo.
La base
pratica, i presupposti culturali, la poetica dell'architettura organica non sono
di natura romantica. Per ciò che riguarda la scienza, non siamo meno
scientifici dei funzionalisti, anzi lo siamo di più in quanto accettiamo tutto
un nuovo ramo della scienza moderna, cioè la psicologia. e non si tratta
di incontrollate reazioni romantiche, ma del fatto che la scienza moderna ha
allargato il suo raggio di azione, proietta la sua luce e concentra le sue
ricerche non solo sulla razionalità dell'uomo, sulla parte "alta", come si
diceva, ma anche sul mondo dell'inconscio, sulla parte irrazionale. La
scienza si umanizza e si integra: anima e corpo, intelletto e vita fattuale e
religiosità o aspirazione spirituale trovano un nuovo punto di intesa nella
scienza moderna. In nome di questa apertura, la scienza ha perso ormai da
decenni quel carattere di dimostrazione logica e matematica, quella rigidità
inesorabile e immutabile che costituiva il suo carattere precedente. Le
equazioni della vita, e perciò le equazioni dell'architettura, si fanno più
complesse, piene di variabili e ricche di incognite: per risolverle non basta
più la macchina calcolatrice, ma è necessaria un'intuizione umana. In
questo senso è vero, come dice Wright, che arte scienza e religione convergono
in questo estremo tentativo di reintegrazione. Ecco, amici, perché noi non
possiamo accettare l'epiteto di romantici nell'accezione popolare della parola.
La nostra istanza è di carattere scientifico.
Del
resto, anche se qualcuno di voi non considera il sorgere della psicologia
moderna come un fatto determinante di riorientamento del pensiero
architettonico, quanto si è detto sullo sviluppo del metodo scientifico resta
valido. nel campo stesso della meccanica e della tecnica edilizia,
l'atteggiamento odierno è assai diverso da quello di venti anni fa.
Ricordo al proposito una lunga conversazione che ebbi con Aalto. Egli mi
disse che in Finlandia si producevano in massa case prefabbricate, ma che lui,
come capo della ricostruzione, cercava di venderle alla Russia, alla Svezia, ai
paesi dell'Europa centrale, limitandone l'uso in Finlandia. Perché? Non
certo per romanticismo o per un atteggiamento anti-tecnico, ma proprio per un
approfondimento del pensiero scientifico. La prefabbricazione, secondo
Aalto, non è ancora giunta a quel punto di produzione differenziata ed elastica
che solo permetterà il suo ingresso nell'edilizia domestica senza danneggiare
l'umanità della casa e del volto cittadino. In altre parole, Aalto non si
ferma ad ammirare estasiato la produzione tecnica, ma pone di fronte ad esse
nuove esigenze scientifiche. Venti anni fa, al risveglio dai lunghi sonni
ottocenteschi, i primi funzionalisti potevano a diritto esaltare la "bellezza"
della macchina. Oggi il tabù tecnicista è sfatato. Raggiunta un'armonia
tra architettura e industria edilizia, gli architetti non sono più i servi
passivi dell'industria, ma la spronano verso nuove conquiste. La casa non è più
funzionale in quanto aderisce alla tecnica, ma la tecnica è funzionale in quanto
si conforma alle esigenze sociali e umane.
Per tutti
gli altri caratteri dell'architettura organica, si può dimostrare la stessa
cosa. Se nella sua poetica troviamo un ritorno della decorazione, un nuovo
senso del colore, un nuovo gusto di materiali diversi giustapposti, la
liberazione dal tecnigrafo e dalla riga a T, un nuovo mondo figurativo di linee
forza, una più feconda volumetria, e innanzi tutto una decisiva coscienza
spaziale, ciò non dipende da una romantica e decadente stanchezza verso il
nudismo e la sterilizzazione del funzionalismo, ma da una nuova ricerca che si
basa su un approfondimento scientifico.
Per un
rinnovamento storico-critico.
Queste,
amici congressisti, le principali critiche rivolte contro l'architettura
organica. La prima parte, sporta dagli agnostici, non ci deve toccare.
La seconda, che si precisa nel desiderio di conoscere meglio la poetica
dell'architettura organica, è un problema aperto cui, in un modo o nell'altro,
dovremo rispondere. La terza, che ci accusa di seguire supinamente Wright,
va rimossa attraverso un chiarimento storico. La quarta, che ci qualifica
romantici, vede l'architettura organica nel suo aspetto esteriore e perciò non
comprende nulla del processo che provoca il rinnovamento dell'involucro edile.
Le altre critiche, di minore importanza, le discuteremo volta per volta, man
mano che saranno formulate.
Il
programma del nostro congresso è così denso di temi di immediata portata pratica
- piani regionali, legislazione, concorsi, analisi degli istinti culturali,
precisazione della nostra azione futura - che questa conversazione sugli aspetti
culturali dell'architettura organica vi viene "servita" al di fuori delle sedute
vere e proprie del congresso, come un... vermouth prima di cena. Ma
ricordiamoci che, se le questioni pratiche debbono avere la precedenza, esiste
un problema culturale che è la molla di ogni azione, e principalmente che il
compito di chiarire, approfondire i problemi dell'architettura organica sta
interamente sulle nostre spalle. Noi siamo soli anche nel lavoro
culturale.
I pittori
e gli scultori, i musicisti, i letterati e i poeti della nostra epoca trovano
dei validi alleati nella costruzione di una loro cultura, di un loro ambiente,
di un'atmosfera di simpatie intorno alla loro opera. gli alleati sono i
critici d'arte, uomini che vivono a contatto giornaliero con le creazioni
contemporanee, che preparano per esse piattaforme propagandistiche, che si
immedesimano nel lavoro moderno fino al punto di giudicare tutta la tradizione
artistica alla luce dell'impostazione contemporanea. Nel campo
dell'architettura, ciò non avviene.
Possiamo
essere crociani o anti-crociani, ma tutti saremo d'accordo su due fatti ormai
acquisiti dalla nostra cultura grazie alla scuola crociana: 1) l'identità tra
storia e critica, e 2) l'identità o il parallelismo tra storia dell'arte e
storia della critica d'arte. in ogni tempo fecondo di pensiero, i critici
hanno maturato la loro sensibilità a contatto con gli artisti contemporanei,
sono stati attenti a trovare gli elementi di novità e li hanno favoriti, han
giudicato il passato secondo le prospettive del presente. Il Vasari,
indipendentemente dall'equivoco del progresso dell'arte, giudicava Giotto col
metro di Michelangelo, e perché? Perché non era un archeologo nel senso
peggiorativo della parola, ma uno storico e un critico d'arte, un vivo
collaboratore di artisti, un uomo che partecipava alle ricerche e alle conquiste
del suo tempo. Così è sempre stato, dalla prima critica d'arte greca fino
al Winkelmann. Fu il Winkelmann a spezzare la tradizione fattiva, attuale,
vitale della critica e della storia dell'arte, e a centrare il suo angolo
visuale non sull'arte del suo tempo, ma sulla produzione ellenica. Da
allora la cesura tra critica o storia dell'architettura e vita vissuta
nell'architettura si pose, e largamente permane tuttora. La nostra azione
di architetti moderni, anziché trovare un'alleata nella critica, vi trova in
vasta misura un nemico.
Quanti
sono i critici e gli studiosi che, come Louis Munford, giudicano la storia
dell'architettura con una mentalità viva, attuale? Pochissimi in tutto il
mondo. Qui in Italia impera l'archeologia, il conformismo, il filologismo,
la ripetizione inerte di giudizi formati e autorevoli: manca una critica
vivente, spregiudicata, una critica moderna che accompagni l'architettura
moderna e storicizzi l'architettura del passato. Alcuni critici italiani
autentici sono presenti al nostro congresso, perché sono stati richiamati qui
dalla cultura moderna che agitiamo, dai problemi dell'architettura d'oggi, senza
la conoscenza dei quali non è data la possibilità di una critica viva e utile.
E' presente il prof. Pane, che ha parlato questa mattina; è presente il prof.
Argan, di cui ho già ricordato lo studio su Wright e il cui interesse per
l'urbanistica è anche rilevante; verrà domani il prof. Ragghianti, anch'esso un
vero, fattivo nostro alleato. Ma, come vedete, sono pochi, pochissimi; di
fronte a loro c'è quasi tutta la cultura ufficiale di storia dell'architettura
quale è insegnata nelle nostre facoltà, la mentalità positivistica,
l'atteggiamento conoscitivo che ha isterilito la critica fino al punto da far
dubitare che molti storici dell'architettura abbiano ancora una vibrante
sensibilità per l'arte.
L'architettura moderna ha spezzato il conformismo nel campo creativo venticinque
anni fa; oggi , dobbiamo spezzare il conformismo nel campo critico e storico.
Se non portiamo la nostra passione moderna nel campo della cultura, se
permettiamo che persistano due diversi metri di giudizio per l'architettura
moderna e per quella del passato, è evidente che noi resteremo sul piano caduco
del manifesto rivoluzionario, non potremo maturare il movimento di avanguardia
di venti anni fa in una seria cultura architettonica.
L'architettura organica non è storicamente, e non lo è nelle nostre intenzioni,
un ismo di avanguardia. Non abbiamo nulla da rivelare; dobbiamo
svolgere una cultura, riorientare tutto il pensiero architettonico, ridonargli
un senso profondo, una funzione sociale, suscitare intorno ad esso un vasto
consenso, creare una educazione popolare sull'architettura.
Nel
conflitto del mondo moderno, stretti tra la coterie intellettualoide del
funzionalismo, e l'incidente di un positivismo che vuol rovesciare tutto ciò che
non ha un immediato senso comune, noi architetti organici tentiamo di fondere i
valori della nostra tradizione spirituale con le moderne istanze sociali, di
rompere la dicotomia tra cultura e vita che da un secolo separa gli artisti dal
popolo, di proporre una terza via sociale, libera, umana. Ci riusciremo?
E' inutile far profezie. Questa è la nostra strada, la nostra battaglia
per una cultura integrata, per un'architettura integrata, e perciò per una vita
migliore. Per dirla con Vittorini, una cultura che serva alla vita. e non
solo a consolare.
Se avremo
tempo, ci riusciremo sicuramente. Se no, amici dell'APAO, avremo almeno la
coscienza di aver fatto con disinteresse il nostro dovere. E se le bombe
atomiche dovessero interrompere il nostro lavoro, ognuno di noi avrà la libertà,
come ha detto Quaroni questa mattina, di decidere se ritirarsi a vita privata e
scrivere un nuovo Discorso sul Metodo, oppure, seguendo l'esempio di Pagano,
abbandonare il tavolo da disegno e la penna, e andare a fare la rivoluzione.
Bruno Zevi
FONTE : dalla rivista Metron , N°23/24, Ed. Sandron, Roma, 1948 .