INTERVISTA AD ALVARO SIZA VIEIRA
di Maria de Fatima Sabaini Gama
Nella foto: Maria de Fatima Sabaini Gama durante
l'intervista ad Alvaro Siza Vieira nel suo studio a Porto nel 2008.
Maria de Fatima Sabaini Gama – Quando fa un progetto da cosa parte,
considerata la sua esperienza?
Alvaro
Siza Vieira – Per prima cosa conoscere chi mi invita; ci conosciamo, poi mi
interessa sapere di cosa si tratta l’incarico, conoscere il programma, visitare
il luogo dove si costruirà, cercare informazioni su procedimenti, regolamenti,
ecc. Se è un luogo non è il Portogallo, devo conoscere il problema in un’ottica
più generale per poter fare questo progetto, e quindi valutare se si può
accettare tenendo conto anche dei problemi di tempo, di organizzazione del
lavoro, di tante possibilità. Oggi spendo meno tempo nei sopralluoghi, perché
devo ridurre i viaggi. Con l’età questo è molto più penalizzante. Non faccio
tante visite e sopralluoghi come una volta. I problemi emergono se si tratta di
un lavoro molto lontano, per esempio è già successo una volta. Quando non si può
visitare un luogo, ti mandano fotografie, video, piante; ecc. Io uso mandare un
mio collaboratore il quale cerca di portare tutti i documenti e la maggior parte
delle informazioni possibili utili per conoscere il posto. Ma per me non è la
stessa cosa. Questo mi dispiace, perché per me è fondamentale conoscere il
luogo. Per la verità dipende anche dal luogo. Per esempio non si può fare un lavoro
a Napoli senza visitare la città perché è così fremente, viva, non c’è nessuna
foto o film che possono farti rivivere l’atmosfera di questa città. Per altri
luoghi, forse, non è così importante, ma è sempre in ogni caso una cosa da fare.
A Seul, per esempio, una città che era stata distrutta e che oggi è in grande
sviluppo, esistono alcuni monumenti testimoni di questa antichissima civiltà ma
potrebbe non essere così importante come lo è, per esempio, Napoli, città
storica e di lunga tradizione. Allo stesso modo hanno avuto importanza
fondamentale dei viaggi a Porto Alegre per il nuovo Museo. Ad ogni modo i
viaggi e i sopralluoghi aiutano a capire e a sentire l’ambiente e la città.
MFSG – Quindi il luogo acquista un’importanza fondamentale nel Suo lavoro,
nella Sua opera il luogo influenza il processo del progetto? Per luogo intendo
anche la sua storia, il suo background, il genius loci?
ASV
– Si, io sono ancora uno di quegli architetti che crede che a Berlino non si
possa fare lo stesso progetto che si fa a Lisbona o a Rio de Janeiro. No, non si
può fare. Perché mi impressiona molto l’architettura che rimanga come un oggetto
isolato, un episodio. Parlando in generale, quasi in tutte le città esistono
alcuni edifici che “impattano” fortemente, che sono per natura universali, come
per esempio un museo. Un edificio “universale” può tuttavia essere molto
differente da un luogo all’altro; molto dipende da che tipo di museo noi
intendiamo, che tipo di iniziativa si intende portare avanti, quali sono le
dinamiche che sono dietro i progetto, ecc. Ma per la gran parte degli edifici
che si costruiscono non si tratta di un’eccezione in un tessuto. Questo accade
principalmente in una città antica dove si deve conoscere bene l’ambiente, la
strada e tutto quanto influisce. Lavorare a Napoli (dove ora sono impegnato per
la stazione della Metropolitana di Piazza Municipio) è stimolante. Percorrere un
vicolo o una strada dove c’è un contatto stretto tra interno è molto speciale,
molto ricco. E questo influisce sulla mente e sul cuore di chi progetta e
disegna.
MFSG – anche nella “sua stratificazione storica”, intervenire in una città
storica è diverso?
ASV
– E’ complesso. Anche costruire una città nuova è complesso ma è una differente
forma di complessità perché c’è tutta questa responsabilità storica e tutto
quello che si fa convive con gli interventi anche nuovi di questa città, che
sono là e sono vicini.
MFSG – Io vedo una grande preoccupazione nel costruire monumenti, in quanto
in questo si sta sempre più perdendo qualità architettonica, come si muove lei
in questo processo?
ASV
– Quello che più mi preoccupa è il disagio di trasformare tutto in monumenti… mi
preoccupa che si faccia una casa in una forma che appaia come un monumento.
Questo crea disintegrazione nel tessuto della città. Queste sono anche il
risultato di problematiche sociali, non è un problema semplicemente
dell’architettura ma un problema sociale. Nella stessa città sono possibili
trattamenti molto diversi. Rio de Janeiro è l’esempio di come la qualità
dell’architettura esiste per interpretazioni. Esiste un Brasile noto, una Rio de
Janeiro nota, o meglio, luoghi comuni. Io ho sperimentato un’altra città, oltre
quella molto conosciuta, molto famosa, posti bellissimi, la collina, ecc. Il
tutto fa parte della società dei cambiamenti sociali… vitale. E’ impressionante
perché vivi un’altra città, dove esiste vita di strada importante. In taxi mi
hanno fatto attraversare l’altra città, nell'embrione della città. E lì ho visto
cinema, caffè, ristoranti, banche… tutto che si può immaginare. E anche tanta
miseria sociale. E’incredibile. Se vai poco al di là e vedi una altra città,
vera e con alto potenziale; è bellissimo, è difficile. In questi luoghi non si
costruisce normalmente e potrebbe essere stato logico proibire ogni costruzione
per la difesa dell’ambiente. E’ una cosa impressionante quello che succede.
MFSG – Quindi esiste una dialettica tra la città nuova e la periferia molte
volte non progettata oppure progettata male anche da grandi architetti del
dopoguerra italiano e i valori del centro storico, la storia?
ASV -
Esiste una tendenza a concentrare “sforzi di qualità” nel centro storico di
Paesi con grandi centri storici invece che nella periferia. Non è lo stesso
impegno: perde la città in generale e perde anche il centro storico. In alcuni
casi, Porto per esempio, negli anni ’70 era molto ben preservata per mancanza di
crescita, di investimenti ecc., ma adesso il centro storico ha perduto quantità
di abitanti, si è ridotto alla popolazione che aveva negli anni ’30, perché si
costruisce nella periferia, trascurando il centro storico. Non è stata promossa
un’operazione continua di recupero: così al centro si vedono le strade tutte
abbandonate, dove non abita gente ed una qualità edilizia meravigliosa ed anche
nei recuperi non va niente bene.
MFSG – Vi è la sensazione che il movimento globale stia perdendo la sua
funzione di controllo, di gestione della situazione. Preoccupa molto il fatto
che il privato debba governare?
ASV -
La città ha bisogno di soldi, e uno dei mezzi di finanziamento della città e
della comunità è esattamente quello di creare nuove occasioni di sviluppo dove
anche per i promotori e gli investitori costi meno intervenire. Dopodiché io
credo che dipende molto dell’apertura di questo processo… se non vi sono altri
modi e altri mezzi di finanziamento della città. Il vero problema del Portogallo
è che si è avuto un grande sviluppo nelle città, comprese quelle interne, con
nuove autostrade, comunicazioni, ecc., ma con relativo decentramento. La qual
cosa ha promosso uno sviluppo all’interno anche se non molto controllato. In
ogni caso si vedono città bellissime, con cura del centro storico mentre le
periferie restano un disastro.
MFSG – Parliamo di un altro problema come conseguenza di questa grande cura
del centro storico e del suo rapporto con la periferia. E’ come se sorgesse un
problema sociale sta creando una grande conflittualità, che porta ad
insediamenti “ghetto”, chiusi, blindati?
ASV –
Accade anche nelle migliori città italiane, anche a Milano. E’ un disastro; è
veramente la distruzione della città. E’ una forma veloce di guardare ai
problemi reali non risolvibili in via eccezionale. Questa è una delle cose gravi
delle città contemporanee, non è estendibile a tutte, ma in generale a tutti
quei Paesi di economie emergenti molto forti. I miei due ultimi progetti di
edilizia residenziale sono stati realizzati uno a Lisbona e uno a Porto. Quello
di Lisbona, è un complesso costituito da due blocchi con un giardino dove sono
presenti resti archeologici, tracce dell’antica muraglia della città, ecc.
Innanzitutto il giardino privato, che una volta connotava la parte alta e la
parte bassa della città. Dunque il progetto prevedeva una sua valorizzazione
tradizionale, come nella tradizione araba, un modo semplice di usufruire di
giardini pensili. Il centro era la collina. C’è un percorso molto importante,
una vera e propria comunicazione tra parti della città, attualmente chiuso
perché è diventato parte del condominio, e questo è molto triste. Questi vuoti
interni sono diventati tanti spazi chiusi di proprietà privata non più
comunicante tra di loro. Per andare a lavorare bisogna uscire fuori. Questo,
moltiplicato per tanti episodi, ha distrutto l’effetto città. I luoghi sono poco
sicuri. Il centro di Porto è un deserto. Anche psicologicamente non si esce, se
non per necessità, perché le strade sono deserte. Ogni tanto si ha notizia di
qualcuno che è stato aggredito e questo crea la dissoluzione dalla città. È un
modo di affrontare il problema assolutamente sbagliato e il problema sussiste.
MFSG – In effetti è la negazione della città, perché la civitas e civilitas
hanno la stessa radice civ latina quindi la città è proprio il luogo
dell’incontro, della socialità e quando questo viene a mancare c’è qualcosa che
non funziona più?
ASV –
Non si attua la vocazione della città, la sua ragione d’essere.
MFSG – Che ruolo attribuisce ai materiali dell’architettura quando fa un
progetto, il cemento, l’intonaco, il legno, il vetro, l’acciaio?
ASV –
All’inizio, e nello sviluppo di un progetto, ho sempre dei grandi dubbi. Penso
sempre come devo fare, come rivestire o come rimane strutturalmente la facciata.
Dipende da molte cose, anche per me dall’ambiente della città, dai rapporti, dal
luogo dove si costruisce. Dipende da tante cose diverse, dal budget esistente,
dal clima, dalle condizioni di manutenzione, dipende dal gusto del committente,
e questo per la verità è uno aspetto che non mi piace. E’ uno dei temi più
difficili con cui il progetto si deve confrontare. Adesso sto realizzando un
edificio a Bilbao e lì, per esempio, ho molti dubbi; questa è una città
consolidata, molto forte. L’intervento è molto vicino al Guggenheim, con la sua
bizzarra forma metallica, che cambia continuamente al variare della luce. Li
vicino c’è anche un edificio di Moneo, tutto in vetro. Mancano ancora pochi
disegni, ma mi pare naturale fare riferimento agli edifici veri, piuttosto che a
queste cose così diverse. Per esempio, in questo momento la mia idea è di fare
una parte di rivestimento in pietra e, per l’ambiente principale, un
rivestimento in ceramica, la ceramica artigianale che si fa ancora in
Portogallo. E’ una qualità questa che stabilisce la texture e riflette anche la
luce; cambia di colore. La ceramica è un materiale molto difficile, perché è
molto difficile immaginarne l’effetto reale con il passare delle ore, con il
movimento del sole. Al variare della luce, l’effetto è completamente diverso.
Sono allora assalito dai dubbi: sulla scelta del colore, della texture, dal
rapporto dell’unità con la totalità. Queste sono tematiche fondamentali in
Architettura.
MFSG – Ricordo il progetto di Lisbona circa la parete frontale che diventava
d’argento o rosa a seconda del sole…
ASV –
Un ceramista il mio amico, scultore ceramista, mi ha aiutato a prendere la
decisione. E’ sempre una sorpresa, in quanto c’è la difficoltà di controllo su
tema dei materiali. Quando ho cominciato la mia attività di architetto, durante
il corso dei lavori, potevo cambiare idea progettuale e disegno. Potevo dire:
facciamo in tal modo o in un altro! Si andava avanti con lunghe trattative con i
committenti e con le imprese e non ho mai avuto problemi. Ma oggi è molto
difficile, in quanto tutto è industrializzato e meccanizzato. Con questa
specializzazione portata all’assurdo, non si può cambiare niente. C’è sempre una
equipe di controllo e gestione del progetto, di parere contrario; c’è sempre il
costruttore che ci cambia qualcosa, dice di perdere soldi anche se gli fai
spendere di meno. E allora non si può lavorare, in questo modo, fino alla
conclusione. Io dico che la conclusione è sempre relativa, mai la reale
conclusione. Sembra un discorso di altri tempi, quello di visitare l’opera
durante il suo farsi, con calma, più volte (cose che i designer moderni non
possono e non sono in grado di fare). Se si decide di rivestire una facciata di
ceramica e le facciate sono tutte coperte dagli anditi chiusi, è proibito vedere
come nasce una cosa, e qual è la resa cromatica di questo materiale così
cangiante. Resta una sorpresa, perché solo quando tutto è finito, esso viene
alla luce. A quel punto, può piacere o può non piacere. Non si può cambiare più
niente. I cantiere di oggi coincide con l’effettiva proibizione di poter
cambiare qualcosa in corso d’opera e questo è fatale per l’architettura. Quando
ho lavorato per esempio in Olanda, ho sviluppato il progetto passeggiando per la
città. Mi appariva così un catalogo immenso di elementi già realizzati nello
spazio urbano, che mi permise di fare scelte anche in termini di innovazioni.
MFSG – Il rapporto con i materiali è paragonabile al rapporto tra un regista
di cinema e i suoi attori?
ASV –
Sono esistiti tanti e diversi rapporti tra le diverse forme d’arte: cinema,
fotografia, architettura, pittura, scultura. Ma oggi, dappertutto, esiste questa
pazzia della separatezza dei saperi. Questo tema della specializzazione a
oltranza. Uno dei maggiore problemi di oggi è ad esempio la confusione e la
separazione fra il divertimento e la comunicazione. I rapporti fra i saperi sono
divenuti difficili perché complessi, come complesse sono le forme dei saperi
diversi. Non può esistere più un Leonardo da Vinci, che opera in diversi campi
specialistici e con diverse espressioni. Come può un architetto parlare con un
fisico e vice versa? Possono parlare solo di certe cose ma, per il resto, si
instaura una incomunicabilità.
MFSG – Che ruolo attribuisce quindi alla Tecnologia, prendendo spunto dalle
cose che ci ha detto finora. Questa tecnologia che oggi è diventata dominante,
per alcuni è demiurgo si parla addirittura di High Tech?
ASV –
Per molte ragioni è uno dei motivi della frammentazione del sapere, delle
difficoltà di convergenza in unità che è quella che determina, alla fine, la
qualità. E’ molto difficile oggi. C’è uno sviluppo del lavoro interdisciplinare
che affolla le reazioni tra queste compartimentazioni. Molte cose nello sviluppo
del progetto, diverse competenze, io credo che il ruolo principale
dell’architetto sia esattamente quello di coordinare il rapporto di tutte le
competenze che intervengono. Purtroppo si fa solo qualche volta bene, ma esso
diventa sempre più difficile per questa frammentazione e specializzazione. Più
che una sinergia è spesso una lotta antitetica tra diversi protagonisti, non
attenti al risultato finale. L’architetto non è più uno che fa, che costruisce.
Al suo posto ora ci sono le equipe. E se l’equipe non funziona, molte volte non
funziona l’edificio. Nel Parlamento portoghese si discute, in questo periodo,
una riforma delle professione. E’ una cosa terribile, perché, se approvata,
porterà alla morte dell’architettura. Tanto per fare un esempio, ci sono
proposte per cui tra le competenze dell’architetto c’è quella di poter fare
edifici ma non spazi pubblici. Mi rendo conto che se faccio un treno può essere
una stupidità. Spero vivamente che questo non si avveri. Non conosco nessun
Paese dove questo avviene. Se accade, veniamo stritolati da lobby e parti del
mondo professionale in cerca di protagonismo. Così come sono pericolose queste figure
specializzate di architetto interior design, landscape designer, web designer,
ecc.
MFSG – Qual è il futuro dell’architettura?
ASV –
Esistono responsabilità a vari livelli, compresi quelli della categoria e non
esiste una vera consapevolezza di quello che sta per accadere, almeno qui in
Portogallo. Stiamo cercando un contatto con i politici per vedere se si riesce a
cambiare qualcosa. Devo ammettere che esiste anche una colpa degli architetti,
anche in relazione al rapporto tra gli architetti e gli ingegneri. In alcuni
Paesi, che conosco direttamente, è quasi di arroganza e di presunta superiorità:
l’architetto si ritiene un puro intellettuale, mentre gli altri sono degli spuri
tecnici. Questo accade, ma molti di noi, architetti o ingegneri, la pensano
diversamente, per fortuna. Per quanto mi riguarda io non comincio mai un lavoro
senza parlare con tutta l’equipe, senza discutere insieme dei tanti problemi che
esistono. Non riesco a lavorare senza questo metodo.
MFSG – Sta cambiando il ruolo dell’architettura, dove sta andando
l’architettura oggi?
ASV –
Io penso si stia rendendo molto popolare. In Portogallo, ad esempio,
l’architettura non si vedeva sui periodici e riviste, cosa che invece accade
oggi costantemente. L’architettura è anche nei dibattiti politici; che sia
diventata oggetto di discussione è un fatto assolutamente positivo; c’è bisogno
di questo. Ma lavorare per una buona architettura diviene tanto più difficile
conseguirla quanto più è essa pubblicata e divulgata. Questa è la realtà. Non si
parla molto di architettura ma nella realtà realizzare è ogni giorno più
difficile. Questa difficoltà di coordinare diventa ogni giorno più difficile e
impopolare. Vedo l’interferenza della politica nell’architettura perché - ad
esempio - se cambia il ministro o un sindaco, cambiano i programmi. Poi c’è – da
parte di alcuni - l’opportunismo di far parte di un partito, e per avere tutta
una serie di vantaggi come quello di ricevere incarichi, ecc. possiamo chiamare
questo democrazia…
MFSG – Stavamo meglio quando stavamo peggio! quando c’erano i faraoni, i
principi, i papi, gli architetti avevano più ruolo?
ASV –
In un certo senso si. Non dico che stiamo meglio oggi. Era peggio quando c’era
l’imperatore che faceva scelte assolute, insindacabili, era politicamente molto
più inaccessibile. Si conoscono storie di grandi costretti a salire al potere
solo perché questo voleva quel tale Papa. Questo problema è sempre esistito, ma
quello che è terribile è fare leggi così stupide.
MFSG – Ci parli un poco della sua esperienza del Chiado!
ASV –
Per l’esperienza del Chiado, devo confidare innanzitutto la mia sorpresa
per l’invito ricevuto. Io non pensavo di poter fare questo lavoro, perché non avevo
mai lavorato a Lisbona. Mi ha sorpreso la telefonata del Sindaco per invitarmi e
non ho accettato subito. Ho voluto parlare prima con l’Ordine Professionale per
discutere il problema e chiarire che per me non era un tema di concorso ma un
tema di recupero architettonico e soprattutto di dialogo con i proprietari, gli
utenti, ecc. Questa operazione era fuori dal mio linguaggio e dalla mia consueta
produzione. Il Comune aveva deciso anche per un recupero dell’ambiente, e questo
è stato per me un grande esercizio nel senso che ho dovuto ripensare a questo
incarico, pensare come l’uomo della strada, conoscere le regole del recupero
degli edifici, evitare che fosse solo un problema formale e di facciata, dopo
che c’era stato il grande problema dell’incendio e del degrado generale di
questa parte così importante della città. Un insieme di diciotto edifici nel
centro, una parte della città che io adesso vedo come un immenso edificio,
quella parte di Lisbona ricostruita in circa un secolo con tutti elementi
prefabbricati realizzati fuori Lisbona (finestre, verande, ferro, pietra,
disegni degli elementi, tutto era fatto in luoghi fuori Lisbona). Erano oggetti
pesantissimi, ma realizzati in maniera moderna. Questo accadeva nel’700 e dunque
era per me un tema importante e non oltrepassabile. In questo luogo centrale una
volta si concentravano aule, negozi, vita notturna e diurna. Un tempo la città
aveva un centro, oggi le città hanno diversi centri. Non è solo un problema di
comunicazione di rapporti tra vicini. Lavorare su questo aspetto è stata una
decisione molto buona presa dal Comune, così come quella di non espropriare.
Operare con i proprietari, impedendo che questo diventasse un deserto, lavorare
rispettando gli interessi economici dei proprietari, favorire l’integrazione
sociale, abitazioni, negozi, uffici, ecc. Il tema è stato appunto rispettare
tutte queste cose senza tradire l’architettura, senza trascurare i problemi
attuali, il rispetto delle normative, del comfort, degli isolamenti termici e
del risparmio energetico. Mi sono calato allora in problemi concreti. Faccio un
esempio: tutte le finestre del Chiado sono fatte con elementi di legno molto
sottili, e questo fa parte di una tradizione antica. E’ una questione delicata,
non compatibile con il banale doppio vetro per l’isolamento termico
dell’infisso. Allora ho suggerito una soluzione anche praticata nei Paesi del
Nord-Europa: mantenere esternamente l’infisso tradizionale e installare
all’interno un nuovo infisso per cambiare l’espressione e la forma delle
facciate. A Porto, invece, stanno accadendo cose tragiche.
MFSG – Questo dettato è un modello esportabile come metodologia di lavoro?
ASV –
Questi problemi del centro storico sono molto specifici. Quello che è triste è
che a Lisbona è stato fatto un percorso molto lento. Purtroppo è un lavoro non
considerato in quanto mi sono vestito di anonimato. Ho disegnato quelle
finestre, quei camini, tutti quegli oggetti come essi erano in origine. Ma
quanti architetti non resistono alla seduzione di mettere la propria firma?
Ricordo quando ho presentato questo progetto, peraltro molto criticato. Un
architetto mi ha rimproverato di non aver fatto niente. Io non sono affatto
preoccupato di mettere la firma “Siza”. Sono felice quando lavoro anche su cose
molto semplici purché portino un cambiamento enorme e positivo nella vita della
città. Non sempre è un problema di progetto e di disegni.
MFSG – Conclusioni?
ASV –
Bisogna avere una posizione alta sui problemi. Ho ridisegnato, con Souto de
Moura, la piazza principale di Porto. E’ stata una polemica terribile; in parte
l’opera non è stata realizzata; mancano gli alberi. Si è innescata una grande
battaglia politica in città, con politici a favore e politici contro, montata
anche sui giornali e per televisione. Prima, la piazza aveva alberi e tante
aiole. Noi l’abbiamo resa praticabile come luogo di incontro e di riunione di
tutta la città. A supporto delle nostre tesi, abbiamo mostrato le classiche e
ben note piazze italiane, quelle di Parigi e anche la piazza di Lisbona, dove
non c’è né fiore né un filo d’erba, ma c’è stata anche e soprattutto una forte
strumentalizzazione politica. E’ nostro mestiere! Questo è molto democratico.
Certamente è meglio questo, piuttosto che quando le cose vengono fatte da due o
tre persone. Questo controllo ha un costo. Non c’è nulla di meglio della
democrazia, anche se Churchill affermava che la democrazia, tra tutti i mali, è
quello minore.
Fonte :
si ringrazia l'architetto Maria de Fatima Sabaini Gama (
mgsabaini@unisa.it ) che ha
cortesemente inviato la documentazione dell'articolo alla Redazione del Portale.
L'iintervista ad Alvaro Siza Vieira è stata pubblicata nella rivista L'industria
delle costruzioni
www.lindustriadellecostruzioni.it/2009/gen-feb/405.html .
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