domenica 21 luglio 2019

INTERVISTA AD ALVARO SIZA VIEIRA , di Maria de Fatima Sabaini Gama



INTERVISTA AD ALVARO SIZA VIEIRA

di Maria de Fatima Sabaini Gama



Nella foto: Maria de Fatima Sabaini Gama durante l'intervista ad Alvaro Siza Vieira nel suo studio a Porto nel 2008.



Maria de Fatima Sabaini Gama – Quando fa un progetto da cosa parte, considerata la sua esperienza?
Alvaro Siza Vieira – Per prima cosa conoscere chi mi invita; ci conosciamo, poi mi interessa sapere di cosa si tratta l’incarico, conoscere il programma, visitare il luogo dove si costruirà, cercare informazioni su procedimenti, regolamenti, ecc. Se è un luogo non è il Portogallo, devo conoscere il problema in un’ottica più generale per poter fare questo progetto, e quindi valutare se si può accettare tenendo conto anche dei problemi di tempo, di organizzazione del lavoro, di tante possibilità. Oggi spendo meno tempo nei sopralluoghi, perché devo ridurre i viaggi. Con l’età questo è molto più penalizzante. Non faccio tante visite e sopralluoghi come una volta. I problemi emergono se si tratta di un lavoro molto lontano, per esempio è già successo una volta. Quando non si può visitare un luogo, ti mandano fotografie, video, piante; ecc. Io uso mandare un mio collaboratore il quale cerca di portare tutti i documenti e la maggior parte delle informazioni possibili utili per conoscere il posto. Ma per me non è la stessa cosa. Questo mi dispiace, perché per me è fondamentale conoscere il luogo. Per la verità dipende anche dal luogo. Per esempio non si può fare un lavoro a Napoli senza visitare la città perché è così fremente, viva, non c’è nessuna foto o film che possono farti rivivere l’atmosfera di questa città. Per altri luoghi, forse, non è così importante, ma è sempre in ogni caso una cosa da fare. A Seul, per esempio, una città che era stata distrutta e che oggi è in grande sviluppo, esistono alcuni monumenti testimoni di questa antichissima civiltà ma potrebbe non essere così importante come lo è, per esempio, Napoli, città storica e di lunga tradizione. Allo stesso modo hanno avuto importanza fondamentale dei viaggi a Porto Alegre per il nuovo Museo. Ad ogni modo i viaggi e i sopralluoghi aiutano a capire e a sentire l’ambiente e la città.

MFSG – Quindi il luogo acquista un’importanza fondamentale nel Suo lavoro, nella Sua opera il luogo influenza il processo del progetto? Per luogo intendo anche la sua storia, il suo background, il genius loci?
ASV – Si, io sono ancora uno di quegli architetti che crede che a Berlino non si possa fare lo stesso progetto che si fa a Lisbona o a Rio de Janeiro. No, non si può fare. Perché mi impressiona molto l’architettura che rimanga come un oggetto isolato, un episodio. Parlando in generale, quasi in tutte le città esistono alcuni edifici che “impattano” fortemente, che sono per natura universali, come per esempio un museo. Un edificio “universale” può tuttavia essere molto differente da un luogo all’altro; molto dipende da che tipo di museo noi intendiamo, che tipo di iniziativa si intende portare avanti, quali sono le dinamiche che sono dietro i progetto, ecc. Ma per la gran parte degli edifici che si costruiscono non si tratta di un’eccezione in un tessuto. Questo accade principalmente in una città antica dove si deve conoscere bene l’ambiente, la strada e tutto quanto influisce. Lavorare a Napoli (dove ora sono impegnato per la stazione della Metropolitana di Piazza Municipio) è stimolante. Percorrere un vicolo o una strada dove c’è un contatto stretto tra interno è molto speciale, molto ricco. E questo influisce sulla mente e sul cuore di chi progetta e disegna.

MFSG – anche nella “sua stratificazione storica”, intervenire in una città storica è diverso?
ASV – E’ complesso. Anche costruire una città nuova è complesso ma è una differente forma di complessità perché c’è tutta questa responsabilità storica e tutto quello che si fa convive con gli interventi anche nuovi di questa città, che sono là e sono vicini.

MFSG – Io vedo una grande preoccupazione nel costruire monumenti, in quanto in questo si sta sempre più perdendo qualità architettonica, come si muove lei in questo processo?
ASV – Quello che più mi preoccupa è il disagio di trasformare tutto in monumenti… mi preoccupa che si faccia una casa in una forma che appaia come un monumento. Questo crea disintegrazione nel tessuto della città. Queste sono anche il risultato di problematiche sociali, non è un problema semplicemente dell’architettura ma un problema sociale. Nella stessa città sono possibili trattamenti molto diversi. Rio de Janeiro è l’esempio di come la qualità dell’architettura esiste per interpretazioni. Esiste un Brasile noto, una Rio de Janeiro nota, o meglio, luoghi comuni. Io ho sperimentato un’altra città, oltre quella molto conosciuta, molto famosa, posti bellissimi, la collina, ecc. Il tutto fa parte della società dei cambiamenti sociali… vitale. E’ impressionante perché vivi un’altra città, dove esiste vita di strada importante. In taxi mi hanno fatto attraversare l’altra città, nell'embrione della città. E lì ho visto cinema, caffè, ristoranti, banche… tutto che si può immaginare. E anche tanta miseria sociale. E’incredibile. Se vai poco al di là e vedi una altra città, vera e con alto potenziale; è bellissimo, è difficile. In questi luoghi non si costruisce normalmente e potrebbe essere stato logico proibire ogni costruzione per la difesa dell’ambiente. E’ una cosa impressionante quello che succede.

MFSG – Quindi esiste una dialettica tra la città nuova e la periferia molte volte non progettata oppure progettata male anche da grandi architetti del dopoguerra italiano e i valori del centro storico, la storia?
ASV - Esiste una tendenza a concentrare “sforzi di qualità” nel centro storico di Paesi con grandi centri storici invece che nella periferia. Non è lo stesso impegno: perde la città in generale e perde anche il centro storico. In alcuni casi, Porto per esempio, negli anni ’70 era molto ben preservata per mancanza di crescita, di investimenti ecc., ma adesso il centro storico ha perduto quantità di abitanti, si è ridotto alla popolazione che aveva negli anni ’30, perché si costruisce nella periferia, trascurando il centro storico. Non è stata promossa un’operazione continua di recupero: così al centro si vedono le strade tutte abbandonate, dove non abita gente ed una qualità edilizia meravigliosa ed anche nei recuperi non va niente bene.

MFSG – Vi è la sensazione che il movimento globale stia perdendo la sua funzione di controllo, di gestione della situazione. Preoccupa molto il fatto che il privato debba governare?
ASV - La città ha bisogno di soldi, e uno dei mezzi di finanziamento della città e della comunità è esattamente quello di creare nuove occasioni di sviluppo dove anche per i promotori e gli investitori costi meno intervenire. Dopodiché io credo che dipende molto dell’apertura di questo processo… se non vi sono altri modi e altri mezzi di finanziamento della città. Il vero problema del Portogallo è che si è avuto un grande sviluppo nelle città, comprese quelle interne, con nuove autostrade, comunicazioni, ecc., ma con relativo decentramento. La qual cosa ha promosso uno sviluppo all’interno anche se non molto controllato. In ogni caso si vedono città bellissime, con cura del centro storico mentre le periferie restano un disastro.

MFSG – Parliamo di un altro problema come conseguenza di questa grande cura del centro storico e del suo rapporto con la periferia. E’ come se sorgesse un problema sociale sta creando una grande conflittualità, che porta ad insediamenti “ghetto”, chiusi, blindati?
ASV – Accade anche nelle migliori città italiane, anche a Milano. E’ un disastro; è veramente la distruzione della città. E’ una forma veloce di guardare ai problemi reali non risolvibili in via eccezionale. Questa è una delle cose gravi delle città contemporanee, non è estendibile a tutte, ma in generale a tutti quei Paesi di economie emergenti molto forti. I miei due ultimi progetti di edilizia residenziale sono stati realizzati uno a Lisbona e uno a Porto. Quello di Lisbona, è un complesso costituito da due blocchi con un giardino dove sono presenti resti archeologici, tracce dell’antica muraglia della città, ecc. Innanzitutto il giardino privato, che una volta connotava la parte alta e la parte bassa della città. Dunque il progetto prevedeva una sua valorizzazione tradizionale, come nella tradizione araba, un modo semplice di usufruire di giardini pensili. Il centro era la collina. C’è un percorso molto importante, una vera e propria comunicazione tra parti della città, attualmente chiuso perché è diventato parte del condominio, e questo è molto triste. Questi vuoti interni sono diventati tanti spazi chiusi di proprietà privata non più comunicante tra di loro. Per andare a lavorare bisogna uscire fuori. Questo, moltiplicato per tanti episodi, ha distrutto l’effetto città. I luoghi sono poco sicuri. Il centro di Porto è un deserto. Anche psicologicamente non si esce, se non per necessità, perché le strade sono deserte. Ogni tanto si ha notizia di qualcuno che è stato aggredito e questo crea la dissoluzione dalla città. È un modo di affrontare il problema assolutamente sbagliato e il problema sussiste.

MFSG – In effetti è la negazione della città, perché la civitas e civilitas hanno la stessa radice civ latina quindi la città è proprio il luogo dell’incontro, della socialità e quando questo viene a mancare c’è qualcosa che non funziona più?
ASV – Non si attua la vocazione della città, la sua ragione d’essere.

MFSG – Che ruolo attribuisce ai materiali dell’architettura quando fa un progetto, il cemento, l’intonaco, il legno, il vetro, l’acciaio?
ASV – All’inizio, e nello sviluppo di un progetto, ho sempre dei grandi dubbi. Penso sempre come devo fare, come rivestire o come rimane strutturalmente la facciata. Dipende da molte cose, anche per me dall’ambiente della città, dai rapporti, dal luogo dove si costruisce. Dipende da tante cose diverse, dal budget esistente, dal clima, dalle condizioni di manutenzione, dipende dal gusto del committente, e questo per la verità è uno aspetto che non mi piace. E’ uno dei temi più difficili con cui il progetto si deve confrontare. Adesso sto realizzando un edificio a Bilbao e lì, per esempio, ho molti dubbi; questa è una città consolidata, molto forte. L’intervento è molto vicino al Guggenheim, con la sua bizzarra forma metallica, che cambia continuamente al variare della luce. Li vicino c’è anche un edificio di Moneo, tutto in vetro. Mancano ancora pochi disegni, ma mi pare naturale fare riferimento agli edifici veri, piuttosto che a queste cose così diverse. Per esempio, in questo momento la mia idea è di fare una parte di rivestimento in pietra e, per l’ambiente principale, un rivestimento in ceramica, la ceramica artigianale che si fa ancora in Portogallo. E’ una qualità questa che stabilisce la texture e riflette anche la luce; cambia di colore. La ceramica è un materiale molto difficile, perché è molto difficile immaginarne l’effetto reale con il passare delle ore, con il movimento del sole. Al variare della luce, l’effetto è completamente diverso. Sono allora assalito dai dubbi: sulla scelta del colore, della texture, dal rapporto dell’unità con la totalità. Queste sono tematiche fondamentali in Architettura.

MFSG – Ricordo il progetto di Lisbona circa la parete frontale che diventava d’argento o rosa a seconda del sole…
ASV – Un ceramista il mio amico, scultore ceramista, mi ha aiutato a prendere la decisione. E’ sempre una sorpresa, in quanto c’è la difficoltà di controllo su tema dei materiali. Quando ho cominciato la mia attività di architetto, durante il corso dei lavori, potevo cambiare idea progettuale e disegno. Potevo dire: facciamo in tal modo o in un altro! Si andava avanti con lunghe trattative con i committenti e con le imprese e non ho mai avuto problemi. Ma oggi è molto difficile, in quanto tutto è industrializzato e meccanizzato. Con questa specializzazione portata all’assurdo, non si può cambiare niente. C’è sempre una equipe di controllo e gestione del progetto, di parere contrario; c’è sempre il costruttore che ci cambia qualcosa, dice di perdere soldi anche se gli fai spendere di meno. E allora non si può lavorare, in questo modo, fino alla conclusione. Io dico che la conclusione è sempre relativa, mai la reale conclusione. Sembra un discorso di altri tempi, quello di visitare l’opera durante il suo farsi, con calma, più volte (cose che i designer moderni non possono e non sono in grado di fare). Se si decide di rivestire una facciata di ceramica e le facciate sono tutte coperte dagli anditi chiusi, è proibito vedere come nasce una cosa, e qual è la resa cromatica di questo materiale così cangiante. Resta una sorpresa, perché solo quando tutto è finito, esso viene alla luce. A quel punto, può piacere o può non piacere. Non si può cambiare più niente. I cantiere di oggi coincide con l’effettiva proibizione di poter cambiare qualcosa in corso d’opera e questo è fatale per l’architettura. Quando ho lavorato per esempio in Olanda, ho sviluppato il progetto passeggiando per la città. Mi appariva così un catalogo immenso di elementi già realizzati nello spazio urbano, che mi permise di fare scelte anche in termini di innovazioni.

MFSG – Il rapporto con i materiali è paragonabile al rapporto tra un regista di cinema e i suoi attori?
ASV – Sono esistiti tanti e diversi rapporti tra le diverse forme d’arte: cinema, fotografia, architettura, pittura, scultura. Ma oggi, dappertutto, esiste questa pazzia della separatezza dei saperi. Questo tema della specializzazione a oltranza. Uno dei maggiore problemi di oggi è ad esempio la confusione e la separazione fra il divertimento e la comunicazione. I rapporti fra i saperi sono divenuti difficili perché complessi, come complesse sono le forme dei saperi diversi. Non può esistere più un Leonardo da Vinci, che opera in diversi campi specialistici e con diverse espressioni. Come può un architetto parlare con un fisico e vice versa? Possono parlare solo di certe cose ma, per il resto, si instaura una incomunicabilità.

MFSG – Che ruolo attribuisce quindi alla Tecnologia, prendendo spunto dalle cose che ci ha detto finora. Questa tecnologia che oggi è diventata dominante, per alcuni è demiurgo si parla addirittura di High Tech?
ASV – Per molte ragioni è uno dei motivi della frammentazione del sapere, delle difficoltà di convergenza in unità che è quella che determina, alla fine, la qualità. E’ molto difficile oggi. C’è uno sviluppo del lavoro interdisciplinare che affolla le reazioni tra queste compartimentazioni. Molte cose nello sviluppo del progetto, diverse competenze, io credo che il ruolo principale dell’architetto sia esattamente quello di coordinare il rapporto di tutte le competenze che intervengono. Purtroppo si fa solo qualche volta bene, ma esso diventa sempre più difficile per questa frammentazione e specializzazione. Più che una sinergia è spesso una lotta antitetica tra diversi protagonisti, non attenti al risultato finale. L’architetto non è più uno che fa, che costruisce. Al suo posto ora ci sono le equipe. E se l’equipe non funziona, molte volte non funziona l’edificio. Nel Parlamento portoghese si discute, in questo periodo, una riforma delle professione. E’ una cosa terribile, perché, se approvata, porterà alla morte dell’architettura. Tanto per fare un esempio, ci sono proposte per cui tra le competenze dell’architetto c’è quella di poter fare edifici ma non spazi pubblici. Mi rendo conto che se faccio un treno può essere una stupidità. Spero vivamente che questo non si avveri. Non conosco nessun Paese dove questo avviene. Se accade, veniamo stritolati da lobby e parti del mondo professionale in cerca di protagonismo. Così come sono pericolose queste figure specializzate di architetto interior design, landscape designer, web designer, ecc.

MFSG – Qual è il futuro dell’architettura?
ASV – Esistono responsabilità a vari livelli, compresi quelli della categoria e non esiste una vera consapevolezza di quello che sta per accadere, almeno qui in Portogallo. Stiamo cercando un contatto con i politici per vedere se si riesce a cambiare qualcosa. Devo ammettere che esiste anche una colpa degli architetti, anche in relazione al rapporto tra gli architetti e gli ingegneri. In alcuni Paesi, che conosco direttamente, è quasi di arroganza e di presunta superiorità: l’architetto si ritiene un puro intellettuale, mentre gli altri sono degli spuri tecnici. Questo accade, ma molti di noi, architetti o ingegneri, la pensano diversamente, per fortuna. Per quanto mi riguarda io non comincio mai un lavoro senza parlare con tutta l’equipe, senza discutere insieme dei tanti problemi che esistono. Non riesco a lavorare senza questo metodo.

MFSG – Sta cambiando il ruolo dell’architettura, dove sta andando l’architettura oggi?
ASV – Io penso si stia rendendo molto popolare. In Portogallo, ad esempio, l’architettura non si vedeva sui periodici e riviste, cosa che invece accade oggi costantemente. L’architettura è anche nei dibattiti politici; che sia diventata oggetto di discussione è un fatto assolutamente positivo; c’è bisogno di questo. Ma lavorare per una buona architettura diviene tanto più difficile conseguirla quanto più è essa pubblicata e divulgata. Questa è la realtà. Non si parla molto di architettura ma nella realtà realizzare è ogni giorno più difficile. Questa difficoltà di coordinare diventa ogni giorno più difficile e impopolare. Vedo l’interferenza della politica nell’architettura perché - ad esempio - se cambia il ministro o un sindaco, cambiano i programmi. Poi c’è – da parte di alcuni - l’opportunismo di far parte di un partito, e per avere tutta una serie di vantaggi come quello di ricevere incarichi, ecc. possiamo chiamare questo democrazia…

MFSG – Stavamo meglio quando stavamo peggio! quando c’erano i faraoni, i principi, i papi, gli architetti avevano più ruolo?
ASV – In un certo senso si. Non dico che stiamo meglio oggi. Era peggio quando c’era l’imperatore che faceva scelte assolute, insindacabili, era politicamente molto più inaccessibile. Si conoscono storie di grandi costretti a salire al potere solo perché questo voleva quel tale Papa. Questo problema è sempre esistito, ma quello che è terribile è fare leggi così stupide.

MFSG – Ci parli un poco della sua esperienza del Chiado!
ASV – Per l’esperienza del Chiado, devo confidare innanzitutto la mia sorpresa per l’invito ricevuto. Io non pensavo di poter fare questo lavoro, perché non avevo mai lavorato a Lisbona. Mi ha sorpreso la telefonata del Sindaco per invitarmi e non ho accettato subito. Ho voluto parlare prima con l’Ordine Professionale per discutere il problema e chiarire che per me non era un tema di concorso ma un tema di recupero architettonico e soprattutto di dialogo con i proprietari, gli utenti, ecc. Questa operazione era fuori dal mio linguaggio e dalla mia consueta produzione. Il Comune aveva deciso anche per un recupero dell’ambiente, e questo è stato per me un grande esercizio nel senso che ho dovuto ripensare a questo incarico, pensare come l’uomo della strada, conoscere le regole del recupero degli edifici, evitare che fosse solo un problema formale e di facciata, dopo che c’era stato il grande problema dell’incendio e del degrado generale di questa parte così importante della città. Un insieme di diciotto edifici nel centro, una parte della città che io adesso vedo come un immenso edificio, quella parte di Lisbona ricostruita in circa un secolo con tutti elementi prefabbricati realizzati fuori Lisbona (finestre, verande, ferro, pietra, disegni degli elementi, tutto era fatto in luoghi fuori Lisbona). Erano oggetti pesantissimi, ma realizzati in maniera moderna. Questo accadeva nel’700 e dunque era per me un tema importante e non oltrepassabile. In questo luogo centrale una volta si concentravano aule, negozi, vita notturna e diurna. Un tempo la città aveva un centro, oggi le città hanno diversi centri. Non è solo un problema di comunicazione di rapporti tra vicini. Lavorare su questo aspetto è stata una decisione molto buona presa dal Comune, così come quella di non espropriare. Operare con i proprietari, impedendo che questo diventasse un deserto, lavorare rispettando gli interessi economici dei proprietari, favorire l’integrazione sociale, abitazioni, negozi, uffici, ecc. Il tema è stato appunto rispettare tutte queste cose senza tradire l’architettura, senza trascurare i problemi attuali, il rispetto delle normative, del comfort, degli isolamenti termici e del risparmio energetico. Mi sono calato allora in problemi concreti. Faccio un esempio: tutte le finestre del Chiado sono fatte con elementi di legno molto sottili, e questo fa parte di una tradizione antica. E’ una questione delicata, non compatibile con il banale doppio vetro per l’isolamento termico dell’infisso. Allora ho suggerito una soluzione anche praticata nei Paesi del Nord-Europa: mantenere esternamente l’infisso tradizionale e installare all’interno un nuovo infisso per cambiare l’espressione e la forma delle facciate. A Porto, invece, stanno accadendo cose tragiche.

MFSG – Questo dettato è un modello esportabile come metodologia di lavoro?
ASV – Questi problemi del centro storico sono molto specifici. Quello che è triste è che a Lisbona è stato fatto un percorso molto lento. Purtroppo è un lavoro non considerato in quanto mi sono vestito di anonimato. Ho disegnato quelle finestre, quei camini, tutti quegli oggetti come essi erano in origine. Ma quanti architetti non resistono alla seduzione di mettere la propria firma? Ricordo quando ho presentato questo progetto, peraltro molto criticato. Un architetto mi ha rimproverato di non aver fatto niente. Io non sono affatto preoccupato di mettere la firma “Siza”. Sono felice quando lavoro anche su cose molto semplici purché portino un cambiamento enorme e positivo nella vita della città. Non sempre è un problema di progetto e di disegni.

MFSG – Conclusioni?
ASV – Bisogna avere una posizione alta sui problemi. Ho ridisegnato, con Souto de Moura, la piazza principale di Porto. E’ stata una polemica terribile; in parte l’opera non è stata realizzata; mancano gli alberi. Si è innescata una grande battaglia politica in città, con politici a favore e politici contro, montata anche sui giornali e per televisione. Prima, la piazza aveva alberi e tante aiole. Noi l’abbiamo resa praticabile come luogo di incontro e di riunione di tutta la città. A supporto delle nostre tesi, abbiamo mostrato le classiche e ben note piazze italiane, quelle di Parigi e anche la piazza di Lisbona, dove non c’è né fiore né un filo d’erba, ma c’è stata anche e soprattutto una forte strumentalizzazione politica. E’ nostro mestiere! Questo è molto democratico. Certamente è meglio questo, piuttosto che quando le cose vengono fatte da due o tre persone. Questo controllo ha un costo. Non c’è nulla di meglio della democrazia, anche se Churchill affermava che la democrazia, tra tutti i mali, è quello minore.
 
 
 
 
 
 
 
 



Fonte :  si ringrazia l'architetto Maria de Fatima Sabaini Gama (  mgsabaini@unisa.it  ) che ha cortesemente inviato la documentazione dell'articolo alla Redazione del Portale. L'iintervista ad Alvaro Siza Vieira è stata pubblicata nella rivista L'industria delle costruzioni   www.lindustriadellecostruzioni.it/2009/gen-feb/405.html  .















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