sabato 20 luglio 2019

L'ARCHITETTURA ORGANICA E L'APAO DI FRONTE AI SUOI CRITICI, di Bruno Zevi



Bruno Zevi

L'ARCHITETTURA ORGANICA E L'APAO
DI FRONTE AI SUOI CRITICI  

    
Conferenza tenuta dall'arch. Bruno Zevi il 6 dicembre 1947, al 1° Congresso Nazionale dell'Associazione per l'Architettura Organica (A.P.A.O).

Amici congressisti delle APAO,

non è senza titubanza ch'io mi accingo a parlarvi di architettura organica.  Mi è capitato spesso di trattare e di scrivere sull'argomento, ma confesso che questa è la prima volta che mi trovo a parlare di architettura organica ad un consesso di architetti organici.  E' vero che noi diciamo che il carattere distintivo dell'architettura organica rispetto a quella razionale è di essere funzionale anche sul terreno della psicologia; ma qui non si tratta di psicologia, sibbene quasi di una seduta di psicoanalisi collettiva, in cui dobbiamo insieme discutere su quei germi corrosivi e, per fortuna,...infettivi che, nella casistica delle nevrosi moderne, danno luogo a quella strana malattia che va sotto il nome di... APAO.
Quando ci trovammo a stabilire il programma di questo congresso, alcuni proposero di dedicare qualche ora a dibattere gli aspetti culturali dell'architettura organica.  Ma ritirarono subito la proposta non tanto per tema di trasformare questa riunione in un incontro pugilistico, quanto perché tutti avevano la sensazione che ormai l'APAO vale assai più dell'architettura organica.  Avviene in tutti i partiti e in tutte le associazioni.  Si parte da un credo politico o culturale, poi ci si fanno le ossa, si creano e si sviluppano valori di collaborazione, di vita vissuta insieme, di comuni opere, di solidarietà, e ad un certo punto questi valori acquistano un'importanza autonoma, divengono essi stessi la giustificazione dell'essere associati.  La nostra fedeltà all'APAO trascende la valutazione del suo credo architettonico; l'associazione raccoglie ormai le migliori forze dell'architettura moderna italiana dalla Sicilia al Piemonte; lavorando a Torino, voi piemontesi sapete di perseguire intenti per cui operano i giovani architetti di Palermo e di Catania, e questa coscienza dà forza e fiducia, crea un ambiente psicologico di vincoli umani che costituisce una zona di attrazione anche per coloro che altrimenti non si sentirebbero di firmare questa nostra antica Dichiarazione di Principii di colore cospiratorio e carbonaro.  Prima che una poetica comune, ci lega una profonda passione di rinnovamento della scena fisica e morale del nostro paese, una generosità, una volontà di operare su un piano che va al di là degli interessi grettamente professionali e personali.  In tre anni di lavoro, abbiamo creato le tradizioni dell'APAO; sì che, se qualcuno venisse qui questa sera a dimostrarci che l'architettura organica non esiste, che nulla ha un senso di ciò che noi predichiamo culturalmente, e, per uno strano scontro di costellazioni, riuscisse a convincerci tutti, noi risponderemmo: dunque cambiamo nome, e continuiamo a lavorare.
Non è per un caso che delle due associazioni di architettura moderna che preesistevano all'APAO, cioè l'MSA di Milano e la PAGANO di Torino, una di esse si sia unita al nostro movimento. E perché? Perché si richiamava ad un uomo che per noi tutti è segno e simbolo della missione, del coraggio e della vocazione dell'architetto moderno.  Al di là del credo teorico di Giuseppe pagano, al di là degli errori ch'egli commise e dei compromessi che accettò, c'è e resta e sola vale la tensione della sua azione, il tempo della sua vitalità, la capacità e la generosità del suo fare.  Quando voi torinesi avete trasformato la PAGANO in APAO, l'avete fatto perché sentivate che Pagano - indipendentemente dalle sue intuizioni sull'architettura organica e dalla risonanza che aveva dato in "Casabella" al pensiero di Persico su Wright - indipendentemente da ogni valutazione teorica, sarebbe stato con noi, perché tutta la sua vita, con i suoi errori e col suo eroico splendore, fu qualificata da questa generosità nell'agire, da un temperamento che preferiva magari una parzialità atta a scoprire nuovi orizzonti piuttosto che una verità generica e infeconda.


Contro l'agnosticismo.

E con ciò, credo di aver risposto alla principale critica che ci vien mossa da parte degli "obbiettivi o degli agnostici.  essi ci dicono che la architettura non ha bisogno di aggettivi, che l'arte rifiuta attributi, e che di conseguenza l'architettura organica non esiste.  Ebbene, amici, chiunque ci conosce sia pur di lontano dovrà ammettere che noi non siamo illetterati fino al punto di non sapere che all'arte non si danno aggettivi.  Ma questo non basta affatto a giustificare la posizione di sordo agnosticismo che vige nel campo avversario.  L'arte non ammette aggettivi, ma il mondo morale, pratico, intellettuale e, se volete comprendere anche i mezzi espressivi, la poetica sulla cui base nascono le creazioni degli artisti, richiedono caratterizzazioni e perciò ammettono aggettivi.  Se l'arte organica non esiste, e nessuno di noi ha mai sostenuto che esista, c'è però, pienamente legittimo dal punto di vista filosofico e critico, un indirizzo dell'architettura organica, ed è quello che noi affermiamo.
L'APAO ha il grande merito di aver spezzato l'agnosticismo architettonico in Italia, quell'agnosticismo vuoto di fedi e di passioni per cui l'arte è arte sia che si faccia oggi con le colonne e con gli archi oppure coi mezzi moderni; quell'agnosticismo che concepisce l'arte al di fuori della storia e della vita.  I nostri avversari sono architetti senza aggettivi, senza nemmeno il vago aggettivo di moderni, perché sono uomini ormai senza coraggio in architettura e in critica; si limitano a mormorare, a ridacchiare senza gioia, non hanno mai scritto un rigo per criticare quello che noi avevamo detto e fatto, sfuggono ad ogni serio dibattito, non hanno idee da difendere ma solo posizioni da conservare.  In verità essi costituiscono, nel campo dell'architettura, la traduzione di ciò che il trasformismo è in politica: una serie di clientele tenute insieme da interessi più o meno evidenti, culturalmente inesistenti o dannosi, di carattere effimero.  Bargellini, l'unico che abbia scritto qualcosa contro l'architettura organica, si è limitato a criticare la teorica di Wright (e davvero non ci vuol molto a trovare contraddizioni nella pseudo-filosofia di un genio!); ma onestamente, quando si è riferito alla nostra impostazione dell'architettura organica, ha dichiarato che era seria ed acuta. 
Noi siamo pronti a discutere e a rivedere ogni nostro punto con chiunque desideri farlo.  Ma combattere il muro cieco e dispersivo degli agnostici è tempo perso, e non possiamo far altro che lasciarli alle loro mormorazioni.


Diffusione della tendenza organica.

Vengo alla seconda critica, assai più valida , che suona esattamente antitetica alla prima; ci vien mossa internamente, da membri dell'associazione e da simpatizzanti. Non ci accusa di voler essere troppo precisi conla specificazione di organico apposta all'architettura, ma solleva l'obbiezione contraria: che cos'è questa architettura organica? Ci avete spiegato vagamente il suo indirizzo morale, ma dov'è architettonicamente? In altre parole, come si fa a farla?
E' una critica su cui richiamo la vostra attenzione. Ciò che noi abbiamo detto e diciamo sull'architettura organica non basta alla maggioranza di coloro cui ci rivolgiamo: dobbiamo essere assai più specifici.
Ricordo un aneddoto. Un giorno, qualcuno che aveva trovato la lettura della Bibbia eccessivamente noiosa, domandò ad un filosofo ebreo di definirgli il significato delle Sacre Scritture in non più di dieci parole.  Il filosofo rispose: " Ama il prossimo tuo come te stesso; tutto il resto è commento, va e studia ".  Anch'io quando, correndo ad un appuntamento, sono fermato da qualche collega che mi domanda, non senza una certa ironia, di dirgli su due piedi che cos'è l'architettura organica, rispondo: " L'architettura organica è l'architettura funzionale che è funzionale rispetto non solo alla tecnica e allo scopo dell'edificio, ma anche alla psicologia degli abitanti. Tutto il resto è commento, va e studia ".  Ma voi comprendete benissimo che se questa è una risposta-boutade meritata da uno scocciatore mezzo-intellettuale che vuol far finta di essere furbo, essa è del tutto inefficace per ciò che riguarda la massa di onesti professionisti, geometri, ingegneri civili, che si interessano ai nostri problemi e da cui non possiamo pretendere un approfondimento culturale.
L'esigenza di una popolarizzazione dell'architettura organica è così evidente che io avrei voluto intitolare questo discorso " il manierismo dell'architettura organica " e dedicare tutto il tempo a questo tema.  Manierismo dell'architettura organica?  Sembra assurdo: il manierismo dell'anti-manierismo.  E, sotto un certo aspetto, è un paradosso.  Ma considerate questo problema: vicino ai pochissimi poeti, in ogni epoca sorgono larghe schiere di manieristi che creano l'ambiente artistico, quell'insieme di simpatie e di consensi che facilitano il prevalere del genio.  Anche oggi, un'infinità di costruttori, di geometri, di ingegneri civili, anche di architetti minori, ha bisogno di un metodo, ha bisogno anche di copiare.  Copiavano il classico, oggi copiano lo pseudo-moderno di Piacentini o gli arredamenti di ponti.  E' così, e, allo stato attuale della nostra educazione, è fatale che sia così.  Ora, se l'architettura organica costituisce un vero e proprio movimento culturale, noi dobbiamo ammettere che essa non si identifichi con l'architettura bella, ma sia solo un atteggiamento, un metodo di fare l'architettura, una poetica che nel genio darà luogo a capolavori, nei minori ad opere soltanto dignitose e decenti.  Nessun cubista pretenderà che la pittura cubista sia quella bella, e la pittura non-cubista sia negativa.  Sosterrà che il cubismo è un vocabolario figurativo o, al massimo, una poetica: ci sono opere d'arte cubiste come quadri cubisti mancanti o, per usare la distinzione esposta questa mattina dal prof. Pane, poesie cubiste e letteratura cubista.  Anche noi, se intendiamo diffondere, popolarizzare le nostre idee, dobbiamo anzitutto affermare che l'architettura organica è una caratterizzazione artistica e, come tale, può dar luogo a poesia e a prosa, ad opere eccellenti e ad opere artisticamente nulle.  Cioè può dar luogo ad un manierismo.
So benissimo che tutti arricciano il naso alla sola parola di manierismo, che è generalmente segno della decadenza di un movimento vitale.  Ma nella presente situazione italiana il manierismo c'è, ed è quello piacentiniano e pontiano.  Non riteniamo noi che un'opera di architettura organica, anche se non è opera d'arte, sia per lo meno più attuale, più moderna, più utile socialmente di una brutta casa pseudo-funzionalista o pseudo-piacentiniana cioè pseudo-pseudo-moderna?  E allora dobbiamo avere il coraggio di formare noi il manierismo, di proporci, per esempio, collettivamente una pubblicazione che spieghi anche al più insensibile geometra come si fa a progettare una casa organica.  Dobbiamo noi controllare, guidare, in certo modo anche provocare il manierismo organico pur sapendo che da esso non potranno venir fuori altro che opere di... maniera.  Diciamolo francamente: siete opposti al manierismo per qualche ragione autentica, o perché vi sembra difficile stabilire concretamente che cos'è questa benedetta architettura organica?  In questo secondo caso, dato che si tratta di un'esigenza pratica per tutti gli artisti minori, tutti i prosatori dell'architettura, il manierismo è un compito che dobbiamo affrontare.
Il funzionalismo non aveva bisogno di porsi questo problema perché il suo dizionario figurativo a-decorativo e volumetrico e il suo atteggiamento compositivo erano rigidi anche in Le Corbusier.  Per fare il paragone più noto, confrontiamo la Villa Savoie e Falling Water.  ditemi voi: è o non è poetica rigida, dovendo costruire una villa in aperta campagna, cominciare da una pianta che sia un quadrato perfetto?  E' o non è poetica disegnare quattro facciate identiche, anche se su una di esse si affacciano i soggiorni, sull'altra le camere da letto, sulla terza addirittura una terrazza?  E' o non è poetica di mera volumetria sospendere tutto l'edificio su pilotis?  Ebbene, se questa è poetica e noi non la seguiamo, e se preferiamo il metodo di Wright e quello di Aalto, abbiamo il dovere di specificare che cos'è questo metodo.  Noi non possiamo rispondere con aria di superiorità e con un'alzata di spalle a coloro che ci domandano: insomma ce lo volete dire, si o no, che cos'è quest'architettura organica, e come si fa a farla?
Non è qui nemmeno il caso di accennare al mio pensiero in proposito a che cosa io credo sia il carattere specifico dell'architettura organica.  Ho illustrato il mio punto di vista in un saggio di prossima pubblicazione, in cui cerco di dimostrare che l'originalità dell'architettura organica consiste principalmente nel suo metodo di concepire in termini di spazio.  Il segreto della poetica di Wright e di Aalto sta principalmente nel loro pensare a i vuoti architettonici, allo spazio interno; solo in un secondo tempo, e in funzione dello spazio interno, essi si interessano della volumetria e della decorazione.  Il punto fondamentale dell'architettura organica è, secondo me, questa dichiarazione di indipendenza non solo dai fatti decorativi, ma anche dalla composizione volumetrica, geometrico-purista e stereometrico-neoplastica, l'accento sul vuoto, sullo spazio della casa e della città dove l'uomo vive e dove il tema sociale si esprime.  A me pare che l'istanza sociale, che è il motore di tutta la nostra azione, trovi un punto di riferimento concreto in architettura proprio in questa concezione spaziale, nel portare cioè l'attenzione sul contenuto spaziale, per così dire, anziché sul contenente edilizio, e nel creare l'edificio in nome del contenuto umano.  Ma su questo, che doveva essere il tema di tutto il mio dire, non voglio dilungarmi.


Frank Lloyd Wright e l'APAO

Una terza critica al nostro movimento è di carattere così volgare che la trascurerei se non desse motivo di fare alcune utili precisazioni storiche.
" L'architettura organica - essa dice - è uno stile di importazione americana, e consiste nel seguire Wright ".
Se fosse vero che l'architettura organica fosse stata portata in Europa da qualche americano, o sia pure dall'esercito americano, noi non troveremmo da sollevare nessuna obbiezione.  Alla metà del XV secolo, caduta Costantinopoli, architetti greci emigrarono in massa nel nord, e in tutto il continente europeo e in Inghilterra rafforzarono il moto della Rinascenza.  Nel 1933, Hitler costrinse all'emigrazione gli architetti della Bauhaus, e Gropius e Breuer in Inghilterra collaborarono grandemente alla diffusione della architettura funzionalista.  Se la critica fosse esatta, se gli americani, venendo in Italia, avessero chiarito e facilitato il prevalere di una corrente che evidentemente esisteva già per lo meno nelle intenzioni (altrimenti non avrebbe potuto svilupparsi così velocemente) noi non ci vedremmo nulla di male.
Ma la verità è un'altra: il moto di liberazione degli schemi funzionalisti, il processo di umanizzazione dell'architettura era sorto in Europa assai prima della guerra, si è affermato nel 1933 in Svezia, in Finlandia, in Inghilterra e, come istanza culturale, anche in Italia benché qui la progressiva involuzione politica abbia frenato la naturale maturazione del funzionalismo nella tendenza organica, irrigidendo le posizioni funzionaliste costrette alla più dura ed eroica difesa.
La ragione dell'equivoco che ci definisce seguaci di Wright, quando di equivoco si tratta e non di malafede, deriva, io credo, da una insufficiente comprensione della genesi dell'architettura organica.  Se, per esempio, rileggete il mio libro " Verso un'architettura organica ", vi trovate qualcosa di sconcertante.  Vi si afferma che l'architettura organica sorge con Wright nel primo decennio del nostro secolo;  poi si sviluppa, come compiuto movimento internazionale, il funzionalismo europeo alla fine dell'altra guerra;  poi, intorno al 1933, nasce da questo funzionalismo, come discorso intorno di esso ma con precisi caratteri distintivi, un movimento organico europeo che, in certo modo, si riconnette a Wright.  Tutto questo è esatta constatazione di fenomeni storici, ma lascia un po' dubbiosi: come mai l'architettura organica europea, che è figlia del funzionalismo, si imparenta così intimamente con l'architettura organica americana che è precedente al funzionalismo?  Evidentemente c'è qualcosa di confuso, che può essere chiarito solo con una più acuta indagine nella storia dell'architettura moderna.
Il funzionalismo non nasce con Le Corbusier in Europa nel 1920, ma in America nel periodo 1880-90, in quella Scuola di Chicago che aveva annunciato quasi tutto ciò che è stato formulato in Europa quarant'anni dopo e che aveva prodotto il genio di Sullivan.  L'architettura organica di Wright non nasce dal nulla, ma è il preciso sviluppo dell'architettura funzionalista di Sullivan.  Se volete una proporzione semplificatrice,  Wright : Sullivan = Aalto : Le Corbusier.  Ricorderete l'aspirazione di Sullivan: " io cerco in architettura una regola che non ammetta eccezioni ", e la risposta di wright: " Ogni uomo ha una regola, per ogni uomo una casa, per ogni casa uno stile ".  E' lo stesso rapporto mentale, se volete, la stessa antitesi che qualifica la nostra posizione rispetto a Le Corbusier.  Non esiste più perciò questa strana sequenza storica: architettura organica americana - architettura funzionalista europea - architettura organica europea , cioè maturazione - funzionalismo - maturazione.  esiste un'architettura funzionalista americana da cui discende l'architettura organica di Wright , e un'architettura funzionalista europea da cui deriva il nostro movimento.
questo chiarimento storico implica  un giudizio sull'assurda leggenda che noi saremmo i discepoli o i seguaci di Wright.  Lo stesso rapporto che è esistito tra la Scuola di Chicago e il funzionalismo europeo, esiste oggi tra l'architettura organica di Wright e la nostra.  Se voi considerate la diffusione e la vitalità del funzionalismo di Le Corbusier a confronto del Messaggio di Sullivan, potrete avere la misura degli orizzonti che ha davanti a sé l'architettura organica europea, orizzonti che trascendono l'apporto culturale di Wright.
Dopo tre anni di APAO, possiamo affermare che l'architettura organica italiana, anziché essere merce di importazione, ha già prodotto qualcosa che può essere utilmente esportata.  Pensate soltanto al saggio su Wright che ha scritto Argan e che è stato pubblicato su "Metron" : esso presuppone tutta la cultura storico-critica italiana, e perciò va più avanti di qualsiasi saggio composto in America.  Il funzionalismo nacque in America, ma si sviluppò e si chiarì in Europa con tale forza ed energia che poi fu riesportato in America con Neutra e Lescaze.  lo stesso avviene già per l'architettura organica con Aalto, e noi qui in Italia, dove vive una coscienza filosofica e critica assai più matura, abbiamo la possibilità di dare un nostro contributo di validità internazionale alla cultura dell'architettura organica.


Il romanticismo e l'architettura organica.

Passo all'ultima obbiezione, secondo la quale il movimento dell'architettura organica sarebbe di natura romantica.  C'è perfino che, su "Stile", ha affermato l'ineluttabilità dell'avvento dell'architettura organica, quasi la necessità storica della realizzazione delle nostre tesi: hanno fatto di noi, cari amici, tante... donne fatali.  Il ragionamento, se così vogliamo chiamarlo, di "Stile" è il seguente: in tutta la storia dell'architettura, assistiamo all'alternarsi inesorabile di movimenti classicisti e di reazioni romantiche.  La Grecia di Pericle è classica, ma l'ellenismo è romantico; la Roma imperiale è classica, ma la decadenza, il barocco romano, è romantico; è classica la cristianità (protocristiano, bizantino e romanico: tutto un fascio!), ma è romantico il gotico; è classico il Rinascimento, ma è seguito dalla reazione romantica del barocco; a questo succede il neoclassicismo e poi, di nuovo, il romanticismo dei Revivals; contro l'eclettismo romantico dell'800 insorge il classicismo funzionalista; perciò, si conclude, indipendentemente dalle volontà individuali, al funzionalismo classicista deve per forza seguire il movimento romantico dell'architettura organica.
Se noi tenessimo alla propaganda più che alla serietà culturale, potremmo dire, come si usa a Roma, " tutto fa brodo! ", e accettare anche questa pretesa fatalità del nostro essere organici.  Ma l'attributo di romantico è così equivoco che val meglio rifiutarlo del tutto.
Che cosa vuol dire romantico?  Se porre sulle esigenze pianificatrici del mondo moderno l'istanza della libertà e della personalità umana vuol dire essere romantici, ebbene lo siamo. Se romanticismo significa dichiarazione di indipendenza dal meccanicismo funzionalista, dal suo materialismo tecnico, dagli schemi figurativi del cubismo, dagli incubi costruttivisti, allora siamo romantici.  Se vuol dire smetterla con le regolette della sezione aurea, e con i giochetti volumetrici neoplastici divertentissimi in un bozzetto quanto poveri di fantasia negli edifici costruiti, se vuol dire differenziare, intendere che il problema dell'architettura è assai più complesso di quanto pensi questa nuova accademia formalista o dogmatica, e prendere senza timore la strada di questa problematica differenziata, dichiariamoci pure romantici.  Ma se col termine romanticismo si vuol definire una mera ribellione alla regola, una rivolta contro i presupposti scientifici della civiltà moderna, un divagare anziché una maturazione, allora no, noi rifiutiamo decisamente l'attributo.
La base pratica, i presupposti culturali, la poetica dell'architettura organica non sono di natura romantica.  Per ciò che riguarda la scienza, non siamo meno scientifici dei funzionalisti, anzi lo siamo di più in quanto accettiamo tutto un nuovo ramo della scienza moderna, cioè la psicologia.  e non si tratta di incontrollate reazioni romantiche, ma del fatto che la scienza moderna ha allargato il suo raggio di azione, proietta la sua luce e concentra le sue ricerche non solo sulla razionalità dell'uomo, sulla parte "alta", come si diceva, ma anche sul mondo dell'inconscio, sulla parte irrazionale.  La scienza si umanizza e si integra: anima e corpo, intelletto e vita fattuale e religiosità o aspirazione spirituale trovano un nuovo punto di intesa nella scienza moderna.  In nome di questa apertura, la scienza ha perso ormai da decenni quel carattere di dimostrazione logica e matematica, quella rigidità inesorabile e immutabile che costituiva il suo carattere precedente.  Le equazioni della vita, e perciò le equazioni dell'architettura, si fanno più complesse, piene di variabili e ricche di incognite: per risolverle non basta più la macchina calcolatrice, ma è necessaria un'intuizione umana.  In questo senso è vero, come dice Wright, che arte scienza e religione convergono in questo estremo tentativo di reintegrazione.  Ecco, amici, perché noi non possiamo accettare l'epiteto di romantici nell'accezione popolare della parola.  La nostra istanza è di carattere scientifico.
Del resto, anche se qualcuno di voi non considera il sorgere della psicologia moderna come un fatto determinante di riorientamento del pensiero architettonico, quanto si è detto sullo sviluppo del metodo scientifico resta valido.  nel campo stesso della meccanica e della tecnica edilizia, l'atteggiamento odierno è assai diverso da quello di venti anni fa.  Ricordo al proposito una lunga conversazione che ebbi con Aalto.  Egli mi disse che in Finlandia si producevano in massa case prefabbricate, ma che lui, come capo della ricostruzione, cercava di venderle alla Russia, alla Svezia, ai paesi dell'Europa centrale, limitandone l'uso in Finlandia.  Perché? Non certo per romanticismo o per un atteggiamento anti-tecnico, ma proprio per un approfondimento del pensiero scientifico.  La prefabbricazione, secondo Aalto, non è ancora giunta a quel punto di produzione differenziata ed elastica che solo permetterà il suo ingresso nell'edilizia domestica senza danneggiare l'umanità della casa e del volto cittadino.  In altre parole, Aalto non si ferma ad ammirare estasiato la produzione tecnica, ma pone di fronte ad esse nuove esigenze scientifiche.  Venti anni fa, al risveglio dai lunghi sonni ottocenteschi, i primi funzionalisti potevano a diritto esaltare la "bellezza" della macchina.  Oggi il tabù tecnicista è sfatato. Raggiunta un'armonia tra architettura e industria edilizia, gli architetti non sono più i servi passivi dell'industria, ma la spronano verso nuove conquiste. La casa non è più funzionale in quanto aderisce alla tecnica, ma la tecnica è funzionale in quanto si conforma alle esigenze sociali e umane.
Per tutti gli altri caratteri dell'architettura organica, si può dimostrare la stessa cosa.  Se nella sua poetica troviamo un ritorno della decorazione, un nuovo senso del colore, un nuovo gusto di materiali diversi giustapposti, la liberazione dal tecnigrafo e dalla riga a T, un nuovo mondo figurativo di linee forza, una più feconda volumetria, e innanzi tutto una decisiva coscienza spaziale, ciò non dipende da una romantica e decadente stanchezza verso il nudismo e la sterilizzazione del funzionalismo, ma da una nuova ricerca che si basa su un approfondimento scientifico.


Per un rinnovamento storico-critico.

Queste, amici congressisti, le principali critiche rivolte contro l'architettura organica.  La prima parte, sporta dagli agnostici, non ci deve toccare.  La seconda, che si precisa nel desiderio di conoscere meglio la poetica dell'architettura organica, è un problema aperto cui, in un modo o nell'altro, dovremo rispondere.  La terza, che ci accusa di seguire supinamente Wright, va rimossa attraverso un chiarimento storico.  La quarta, che ci qualifica romantici, vede l'architettura organica nel suo aspetto esteriore e perciò non comprende nulla del processo che provoca il rinnovamento dell'involucro edile.  Le altre critiche, di minore importanza, le discuteremo volta per volta, man mano che saranno formulate.
Il programma del nostro congresso è così denso di temi di immediata portata pratica - piani regionali, legislazione, concorsi, analisi degli istinti culturali, precisazione della nostra azione futura - che questa conversazione sugli aspetti culturali dell'architettura organica vi viene "servita" al di fuori delle sedute vere e proprie del congresso, come un... vermouth prima di cena.  Ma ricordiamoci che, se le questioni pratiche debbono avere la precedenza, esiste un problema culturale che è la molla di ogni azione, e principalmente che il compito di chiarire, approfondire i problemi dell'architettura organica sta interamente sulle nostre spalle.  Noi siamo soli anche nel lavoro culturale.
I pittori e gli scultori, i musicisti, i letterati e i poeti della nostra epoca trovano dei validi alleati nella costruzione di una loro cultura, di un loro ambiente, di un'atmosfera di simpatie intorno alla loro opera.  gli alleati sono i critici d'arte, uomini che vivono a contatto giornaliero con le creazioni contemporanee, che preparano per esse piattaforme propagandistiche, che si immedesimano nel lavoro moderno fino al punto di giudicare tutta la tradizione artistica alla luce dell'impostazione contemporanea.  Nel campo dell'architettura, ciò non avviene.
Possiamo essere crociani o anti-crociani, ma tutti saremo d'accordo su due fatti ormai acquisiti dalla nostra cultura grazie alla scuola crociana: 1) l'identità tra storia e critica, e 2) l'identità o il parallelismo tra storia dell'arte e storia della critica d'arte.  in ogni tempo fecondo di pensiero, i critici hanno maturato la loro sensibilità a contatto con gli artisti contemporanei, sono stati attenti a trovare gli elementi di novità e li hanno favoriti, han giudicato il passato secondo le prospettive del presente.  Il Vasari, indipendentemente dall'equivoco del progresso dell'arte, giudicava Giotto col metro di Michelangelo, e perché?  Perché non era un archeologo nel senso peggiorativo della parola, ma uno storico e un critico d'arte, un vivo collaboratore di artisti, un uomo che partecipava alle ricerche e alle conquiste del suo tempo.  Così è sempre stato, dalla prima critica d'arte greca fino al Winkelmann.  Fu il Winkelmann a spezzare la tradizione fattiva, attuale, vitale della critica e della storia dell'arte, e a centrare il suo angolo visuale non sull'arte del suo tempo, ma sulla produzione ellenica.  Da allora la cesura tra critica o storia dell'architettura e vita vissuta nell'architettura si pose, e largamente permane tuttora.  La nostra azione di architetti moderni, anziché trovare un'alleata nella critica, vi trova in vasta misura un nemico.
Quanti sono i critici e gli studiosi che, come Louis Munford, giudicano la storia dell'architettura con una mentalità viva, attuale?  Pochissimi in tutto il mondo.  Qui in Italia impera l'archeologia, il conformismo, il filologismo, la ripetizione inerte di giudizi formati e autorevoli: manca una critica vivente, spregiudicata, una critica moderna che accompagni l'architettura moderna e storicizzi l'architettura del passato.  Alcuni critici italiani autentici sono presenti al nostro congresso, perché sono stati richiamati qui dalla cultura moderna che agitiamo, dai problemi dell'architettura d'oggi, senza la conoscenza dei quali non è data la possibilità di una critica viva e utile.  E' presente il prof. Pane, che ha parlato questa mattina; è presente il prof. Argan, di cui ho già ricordato lo studio su Wright e il cui interesse per l'urbanistica è anche rilevante; verrà domani il prof. Ragghianti, anch'esso un vero, fattivo nostro alleato.  Ma, come vedete, sono pochi, pochissimi; di fronte a loro c'è quasi tutta la cultura ufficiale di storia dell'architettura quale è insegnata nelle nostre facoltà, la mentalità positivistica, l'atteggiamento conoscitivo che ha isterilito la critica fino al punto da far dubitare che molti storici dell'architettura abbiano ancora una vibrante sensibilità per l'arte.
L'architettura moderna ha spezzato il conformismo nel campo creativo venticinque anni fa; oggi , dobbiamo spezzare il conformismo nel campo critico e storico.  Se non portiamo la nostra passione moderna nel campo della cultura, se permettiamo che persistano due diversi metri di giudizio per l'architettura moderna e per quella del passato, è evidente che noi resteremo sul piano caduco del manifesto rivoluzionario, non potremo maturare il movimento di avanguardia di venti anni fa in una seria cultura architettonica.
L'architettura organica non è storicamente, e non lo è nelle nostre intenzioni, un ismo di avanguardia.  Non abbiamo nulla da rivelare; dobbiamo svolgere una cultura, riorientare tutto il pensiero architettonico, ridonargli un senso profondo, una funzione sociale, suscitare intorno ad esso un vasto consenso, creare una educazione popolare sull'architettura.
Nel conflitto del mondo moderno, stretti tra la coterie intellettualoide del funzionalismo, e l'incidente di un positivismo che vuol rovesciare tutto ciò che non ha un immediato senso comune, noi architetti organici tentiamo di fondere i valori della nostra tradizione spirituale con le moderne istanze sociali, di rompere la dicotomia tra cultura e vita che da un secolo separa gli artisti dal popolo, di proporre una terza via sociale, libera, umana.  Ci riusciremo?  E' inutile far profezie.  Questa è la nostra strada, la nostra battaglia per una cultura integrata, per un'architettura integrata, e perciò per una vita migliore.  Per dirla con Vittorini, una cultura che serva alla vita. e non solo a consolare.
Se avremo tempo, ci riusciremo sicuramente. Se no, amici dell'APAO, avremo almeno la coscienza di aver fatto con disinteresse il nostro dovere.  E se le bombe atomiche dovessero interrompere il nostro lavoro, ognuno di noi avrà la libertà, come ha detto Quaroni questa mattina, di decidere se ritirarsi a vita privata e scrivere un nuovo Discorso sul Metodo, oppure, seguendo l'esempio di Pagano, abbandonare il tavolo da disegno e la penna, e andare a fare la rivoluzione.
Bruno Zevi



       


FONTE : dalla rivista Metron , N°23/24, Ed. Sandron, Roma, 1948 .     



















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