venerdì 31 dicembre 2021

All'ombra di Wright: L'eredità di Jaroslav Polivka, di Barry Muskat

 

All'ombra di Wright: L'eredità di Jaroslav Polivka

di Barry Muskat


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Il Guggenheim Museum, disegno di presentazione, 1946.
©2000 Frank Lloyd Wright Foundation,
Scottsdale, Arizona.

L'architettura, per sua stessa natura, è uno sforzo collaborativo. In ogni progetto, l'architetto non si fa da solo. Piuttosto, il processo è complesso, con molti componenti umani, inclusi, ma non limitati a: il cliente, i pianificatori del sito, l'ingegnere, gli appaltatori, i subappaltatori e gli artigiani.

L'architetto, quasi come un allenatore, imposta il piano di gioco, progetta le giocate, seleziona i giocatori e, a un certo livello, sposta in avanti lo sforzo. Sul campo di gioco dell'ambiente costruito, il risultato può essere visto come una vittoria, una sconfitta o semplicemente come un'eredità: una grande serie di piani di gioco lasciati agli altri da seguire o, forse, da ignorare.

Durante la sua carriera, Frank Lloyd Wright ha avuto molti collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sua audace visione di un'architettura organica. Questa sinergia creativa è illustrata magnificamente nella mostra in corso presso la Buffalo and Erie County Historical Society (in mostra fino al 7 gennaio 2001). La mostra esplora il rapporto tra Jaroslav J. Polivka, il celebre ingegnere ceco/americano, e Frank Lloyd Wright, consumato architetto americano, un rapporto che, fino ad ora, sembra essere sfuggito all'attenzione di molti studiosi di Wright.

Il rapporto professionale Wright/Polivka è venuto alla luce per la prima volta attraverso una collezione unica di documenti Polivka negli Archivi della State University di New York a Buffalo. Generosamente donati all'Università nel 1982 dai figli di Polivka (per gentile concessione di Katka Houdek Hammond di Buffalo, nipote di Jaroslav), i documenti coprono un periodo dal 1945 al 1959 e illustrano un rapporto di lavoro tra Wright e Polivka che si è evoluto in una rispettosa amicizia. Sebbene questa vasta corrispondenza renda inconfutabile la loro collaborazione, la misura in cui Polivka ha influenzato Wright è ancora un mistero intrigante e che merita considerazione. Sebbene Wright, in genere, non abbia mai riconosciuto pubblicamente il lavoro di Jaroslav Polivka sui suoi progetti, queste lettere documentano il coinvolgimento di Polivka e confermano che il merito è dovuto.



Il Ponte delle Farfalle, disegno di presentazione.
©2000 Fondazione Frank Lloyd Wright
Scottsdale, Arizona.

Jaroslav Polivka è nato con umili origini a Praga, in Cecoslovacchia nel 1886. Esperto di lingue, ha frequentato la scuola per ottenere la laurea in ingegneria nel 1908. Ha infine conseguito il dottorato nel 1917. La sua carriera è stata immediatamente interrotta quando, all'età di trentuno, fu arruolato per servire nella prima guerra mondiale, dove fu ferito poco prima dell'armistizio.

Dopo la guerra, Polivka tornò a Praga e nel 1919 aprì uno studio di architettura e ingegneria. A quel tempo, Polivka aveva già sperimentato la forza espressiva di una nuova architettura. Avrebbe capito il concetto moderno di trovare soluzioni dirette alle sfide architettoniche. Inoltre, era diventato un esperto pratico nella progettazione e nell'esecuzione di progetti che utilizzavano nuovi materiali interessanti come cemento armato e acciaio, forme prefabbricate e vetro come elemento strutturale.

La sua competenza è andata ancora oltre. Polivka ha sviluppato competenze speciali nell'analisi dello stress fotoelastico, una tecnica che ha esaminato modelli trasparenti su piccola scala in luce polarizzata. Quando sono sotto stress, gli effetti ottici determinano la distribuzione dello stress. L'analisi dello stress è stata utilizzata per nuovi problemi che non avevano soluzioni stabilite: negli anni '20 era ancora una tecnica di sviluppo.

Nel frattempo, in Cecoslovacchia stava emergendo un nuovo tipo di architettura all'inizio della carriera di Polivka. Alcuni dei membri più famosi dell'avanguardia architettonica europea, i modernisti austriaci Otto Wagner, Josef Hoffmann e Adolf Loos, erano nati in Cecoslovacchia. Questi architetti hanno lavorato per molti anni come leader e trendsetter a Vienna (una città molto vicina geograficamente a Praga), la città che divenne il baluardo della battaglia contro lo stile popolare dell'Art Nouveau e i gusti ricercati dell'epoca. Sarebbe stato naturale per gli architetti cecoslovacchi degli anni '20 adottare la tendenza viennese al funzionalismo, un principio per cui la forma di un edificio è determinata dalla sua funzione. Questo nuovo linguaggio visivo del design è stato espresso in volumi semplici e rettangolari, evitando intenzionalmente l'ornamento. In Cecoslovacchia questo è stato accoppiato con il razionalismo, un sistema in cui il progettista ha perseguito una soluzione ponderata e ragionata a un problema di progettazione. Gli architetti cechi usavano il funzionalismo e il razionalismo per parlare un linguaggio semplice e chiaro, l'antitesi del Beaux-Arts.

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The Rogers Lacy Hotel, disegno di presentazione, 1946. ©2000 Frank Lloyd Wright Foundation
Scottsdale, Arizona.

Spinta da questi nuovi sviluppi, la pratica di Jaroslav Polivka negli anni del dopoguerra degli anni '20 e '30 ebbe successo e prolifica.

Due progetti particolari hanno dato a Polivka visibilità internazionale e hanno contribuito a cambiare il corso della sua carriera. In primo luogo, c'è stato l'audace Padiglione Cecoslovacco per l'Esposizione di Parigi del 1937, che ha progettato in collaborazione con Jaromir Krejcar. Incorniciato su uno scheletro d'acciaio, i suoi tre piani erano sollevati da terra, sostenuti da soli quattro piloni e rivestiti da una liscia pelle di vetro. Un altro importante progetto, il Padiglione Ceco per l'Esposizione Universale di New York del 1939 (che disegnò in collaborazione con Kamil Roscot), gli diede l'opportunità di emigrare in America, evitando l'imminente guerra.

Con molti successi alle spalle all'età di cinquantatré anni, Polivka ha intrapreso una nuova carriera nel suo nuovo paese. Nel 1939, ha preso una posizione come ricercatore associato e docente presso l'Università della California, campus di Berkeley. Con un collega, il dottor Harold Eberhart, fondò immediatamente il laboratorio fotoelastico a Berkeley, dove continuò a perfezionare e sviluppare progressi nella sua specialità di analisi dello stress.

Nel 1941, in qualità di inventore congiunto con il collega Victor di Suvero, ha richiesto un brevetto per miglioramenti nelle strutture, una "invenzione relativa a strutture e elementi strutturali di superfici curve governate da linee rette o sagomate come conicoidi". La loro invenzione dimostrò che i sistemi con superfici curve potevano utilizzare elementi strutturali diritti risultando in una rete strutturale di grande rigidità e resistenza, una tecnica che sarebbe stata utile a Polivka in futuro.

La sua straordinaria capacità di adattamento e la sua conoscenza delle tecnologie e dei materiali più recenti gli hanno permesso di tenere conferenze, pubblicare e affermarsi professionalmente con successo in America. Poi, nel 1946, un semplice evento cambiò irrevocabilmente il corso della carriera di Polivka. Ha letto un articolo sull'Architectural Forum che citava Frank Lloyd Wright che diceva che gli ingegneri erano "assoluti dannati sciocchi!" Invece di raccogliere la sfida con rabbia, Polivka ha risposto con una lettera entusiasta. In esso ha rivelato sia il suo umorismo che la sua affinità con il grande architetto:

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Telegram, Frank Lloyd Wright a JJ Polivka, 29 agosto 1946. Courtesy of the University Archives, University at Buffalo.

“Scrivo come un vecchio ammiratore di te e del tuo lavoro, il che non significa molto per te perché, ne sono certo, stai ricevendo a migliaia di lettere del genere, e questa lettera probabilmente verrà trascurata. Ti ammiro come ingegnere, anche se, secondo una citazione nell'ultimo numero del Forum, questi ingegneri sono dei dannati pazzi. Potresti avere ragione, poiché gli ingegneri nelle loro concezioni strutturali sono molto raramente guidati dalle leggi eterne della Natura. Prendiamo ad esempio le ragnatele di ragno che sicuramente dovrebbero essere studiate da un ingegnere la cui specialità è costruire ponti sospesi e reti strutturali bi o tridimensionali. L'ingegnere medio conosce solo travi, travi, colonne e qualsiasi deviazione da questi strumenti quotidiani è considerata insolita, folle o pericolosa. Per molti anni sono stato alle prese con questo pregiudizio.

Quella lettera portò a un invito di Wright a visitare Taliesin e iniziò una relazione tra i due uomini che durò fino alla morte di Wright, più di tredici anni dopo.

Si può imparare molto concentrandosi sui sette progetti specifici su cui hanno lavorato sia Wright che Polivka. Il coinvolgimento di Polivka andava dal recitare un ruolo minore e agire come consulente per Wright, a quello di essere il catalizzatore che ha concepito il progetto, lo ha portato a Wright, e poi ha assunto più ruoli mentre il progetto si muoveva verso la sua fruizione.

Solo due dei loro progetti, il Guggenheim Museum e la Johnson's Wax Tower, furono effettivamente costruiti. Tuttavia, gli altri progetti rimangono interessanti e interessanti come misura dei contributi di Jaroslav Polivka al suo campo dell'ingegneria ea Frank Lloyd Wright.

Il Museo Guggenheim

Wright ha ricevuto l'incarico di progettare il Museo di Solomon Guggenheim per la sua collezione di arte non oggettiva nel 1943, ma l'edificio finito non è stato aperto fino all'ottobre 1959, sei mesi dopo la morte di Wright. Il periodo di diciassette anni fino al suo completamento sembra una soap opera con un cast che cambia, polemiche e intrighi. Per il sito principale sulla Fifth Avenue di Manhattan, direttamente di fronte a Central Park, Wright progettò una struttura circolare, più larga in alto che in basso, seduta su una base rettangolare, senza pavimenti orizzontali al suo interno. Invece, presentava una rampa a spirale continua che si arrampicava su una pendenza del cinque percento e completava cinque cerchi completi mentre girava lungo l'interno dell'edificio, fornendo tre quarti di miglio di spazio della galleria.

Wright ha visto la sfida davanti quando ha scritto: "Sembra generale la convinzione che l'edificio incontrerà una stupida opposizione e non sarà mai costruito, ma tutto ciò che ho fatto lo ha incontrato". In effetti, il Guggenheim era unico e così diverso da qualsiasi cosa fosse mai stata costruita a Manhattan (o altrove), che le autorità governative e Wright non potevano nemmeno essere d'accordo sulle basi. (Ad esempio, i funzionari hanno affermato che l'edificio era alto da otto a nove piani: Wright ha semplicemente detto che la sua rampa era di un piano.)

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Jaroslav Joseph Polivka.
Per gentile concessione della famiglia Polivka.

La New York Planning Commission, sempre cauta nell'accettare le nuove tecnologie, trovò trentadue violazioni nei disegni preliminari di Wright. Il dipartimento dell'edilizia ha infine deciso che avrebbe approvato il progetto se la solidità e la sicurezza fossero state dimostrate da ingegneri esperti. Jaroslav Polivka ha fornito l'analisi strutturale e ha utilizzato test di analisi dello stress fotoelastico per confermare alle autorità che il museo potrebbe essere costruito e sarebbe sicuro. Ha raccomandato uno scheletro in acciaio e metodi specifici di precompressione del cemento armato.

Wright aveva disegnato il progetto originale del Guggenheim con pali di supporto su ogni piano della rampa, sebbene preferisse una rampa a spirale liberamente bilanciata nello spazio. L'opera di Polivka ha permesso di eliminare i pali, un risultato di estrema importanza per il successo dell'esecuzione finale degli interni del museo. Perché è la superficie fluida e ininterrotta dei muri di parapetto della rampa nella loro salita che diventa l'elemento principale che contribuisce al dramma, alla libertà e al successo estetico del museo.

Il Rogers Lacy Hotel

La Martin House di Buffalo (1904) è rinomata per le sue elaborate vetrate artistiche. Sebbene Frank Lloyd Wright smise di usare il vetro artistico nel 1923, continuò a usare il vetro in modo inventivo in progetti come Johnson Wax (con i suoi tubi di vetro), Fallingwater e Graycliff (con il vetro squadrato che forma gli angoli) e persino nelle sue case usoniane (modello di legno ritagli con vetro). Rogers Lacy, che ha fatto fortuna con il petrolio, ha commissionato a Frank Lloyd Wright la progettazione di un hotel a Dallas, in Texas. Il progetto ha offerto a Wright un'opportunità sensazionale per continuare a sperimentare il motivo geometrico del vetro. Il progetto di Wright mostrava una base di nove piani che copriva un intero isolato, da cui si ergeva una drammatica torre a sbalzo di cemento per altri cinquantacinque piani. Wright ha immaginato l'hotel come l'edificio più alto a ovest del Mississippi. Doveva essere spettacolarmente rivestito in un patchwork di pannelli di vetro a forma di diamante. Risplendente di luce naturale, l'interno della base di nove piani presentava un cortile ad atrio. Il design ha eliminato i lunghi corridoi di un tipico piano alberghiero e ha mostrato le camere d'albergo che si aprono su balconi solari piantumati con vegetazione.

Wright ha quindi cercato l'esperienza di Polivka nel vetro. Polivka ha studiato l'uso del vetro Thermolux (uno dei suoi prodotti da costruzione preferiti in Europa) e prodotti alternativi e ne ha esaminato le qualità di diffusione della luce, isolamento termico e assorbimento acustico.

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Polivka e Wright a Taliesin. Per gentile concessione dell'Archivio Universitario, Università di Buffalo.

Rogers Lacy morì prima che il progetto dell'edificio fosse portato alla fase di progettazione esecutiva. Tuttavia, sia Wright che Polivka erano stati implacabili nella loro ricerca dei materiali da costruzione più aggiornati durante le loro carriere, e hanno continuato a discutere e valutare il lavoro svolto sull'hotel Lacy per progetti futuri.

Twin Bridge vs Signature Bridge: attraversamento per la baia di San Francisco

I newyorkesi occidentali sono ben consapevoli dell'ondata di polemiche che circondano un ponte aggiuntivo attualmente proposto per il fiume Niagara tra Buffalo, New York e Fort Erie, Canada. Le proposte in esame vanno dalla costruzione di un gemello per abbinare l'esistente Peace Bridge all'adozione di un nuovo design "firma". Ciò che i Buffaloniani potrebbero essere sorpresi di sapere è che uno scenario sorprendentemente simile si è svolto mezzo secolo fa a San Francisco, in California.

Il progetto più audace della collaborazione Wright/Polivka è stato il progetto del "Butterfly Bridge" di San Francisco. La nuova forma del ponte, i nuovi materiali e i nuovi metodi di costruzione erano del tutto innovativi e clamorosamente diversi da qualsiasi altro progetto preso in considerazione. Il ponte ad arco in cemento armato per attraversare la baia di San Francisco è stata chiaramente un'idea di Jaroslav Polivka, ed è significativo come progetto che Polivka ha portato a Wright. Gli "archi aggraziati... si elevano dall'acqua, allargandosi come ali spiegate... sostenendo il fondo stradale stesso". Wright ha visitato San Francisco e si è dichiarato contrario alla costruzione di un gemello dell'esistente Bay Bridge. In seguito è stato citato come dicendo che San Francisco ha avuto l'opportunità "..

Il Butterfly Bridge è stato l'apice della collaborazione Wright/Polivka e una vera combinazione dei loro talenti. Wright, l'esperto in piloni pontili e travi a sbalzo, e Polivka, l'esperto in cemento armato e strutture a guscio, hanno prodotto il lavoro migliore che hanno svolto in squadra. Entrambi gli uomini consideravano i ponti reticolari in acciaio stravaganti e obsoleti. Polivka li ha definiti "una macchia devastante sul nostro paesaggio" e Wright ha descritto un esempio come "la cosa più orribile che abbia mai visto: pezzi di acciaio tenuti insieme con pezzi di acciaio più piccoli, e tutti si arrugginiscono a una velocità tale che una squadra di pittori deve passare tutto il tempo a dipingerlo”.

Il team Polivka/Wright ha raccomandato l'uso di cemento armato e ha documentato che il loro ponte sarebbe costato meno della metà del costo dei ponti proposti da altri. La loro visione a lungo termine vedeva che "la vita della struttura in calcestruzzo non richiederebbe quasi alcuna manutenzione", proiettando così enormi risparmi sui costi di manutenzione. Entrambi gli uomini avevano esperienza nella costruzione di edifici progettati per sopravvivere alle onde d'urto di un terremoto e hanno progettato questo ponte con l'ulteriore vantaggio di offrire una costruzione a prova di terremoto.

Nonostante il suo enorme potenziale, il progetto Polivka/Wright non è stato selezionato. È generalmente ammesso che ciò sia dovuto alle pressioni di una potente industria siderurgica americana. Nonostante ciò, il progetto Butterfly Bridge ha riportato Polivka al punto di partenza, alle sue radici, ai suoi ponti, all'opera che sembra aver amato di più in Europa. Aveva anni di esperienza in cui la sua carriera ha colmato il divario dalla progettazione e collaudo alla costruzione e al completamento. Il notevole progetto in cemento armato per l'attraversamento della Baia di San Francisco attirò il campo in cui era altamente qualificato.

Epilogo

È chiaro che il contributo di Jaroslav Polivka all'architettura visionaria di Frank Lloyd Wright non dovrebbe solo essere riconosciuto, ma dovrebbe essere celebrato e ulteriormente approfondito. Polivka aveva un enorme talento con capacità multiformi per affrontare qualsiasi numero di sfide. Le sue esperienze in Europa lo hanno tenuto vicino all'avanguardia di un'architettura dinamica e mutevole. Ha avuto una carriera di successo in Europa, e poi in America, prima di incontrare Wright. Chiaramente, aveva una sorta di ruolo indefinito ma apprezzato nell'entourage di Wright. Perché allora, con tutte le prove per documentare il suo talento e il suo contributo, Polivka è stato relativamente sconosciuto?

Si potrebbe guardare al ruolo dell'ingegnere in generale per scoprire che, con rare eccezioni, è stato sublimato a quello dell'architetto. L'ingegnere potrebbe anche non essere mai accreditato. Inoltre, la stessa diversità che ha reso Polivka inestimabile in termini di utilità per Wright è stata probabilmente una delle ragioni principali per un minore riconoscimento.

Infine, Wright raramente ha riconosciuto pubblicamente i suoi collaboratori e il valore dei loro contributi. Oltre ai suoi altri talenti, Wright era il maestro dell'autopromozione e, non importa quanto talentuoso, un mortale come Polivka poteva solo stare nella sua ombra. Pur riconoscendo rispettosamente lo status incomparabile di Wright come uno dei migliori architetti che siano mai esistiti, è importante sfidare le visioni tradizionali della storia quando si è armati di nuove prove. Quando i punteggi saranno finalmente conteggiati nell'arena della storia dell'architettura del XX secolo, a Jaroslav J. Polivka dovrebbe essere dato pieno merito per il suo ruolo sostanziale di "ingegnerizzazione dell'organico".


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Barry Muskat ha conseguito un Master in Storia dell'Arte presso l'Università di Buffalo e ha tenuto numerose conferenze sul progetto Guggenheim. È co-curatore della mostra Polivka presso la Buffalo and Erie County Historical Society e ha scritto la sua tesi di master sull'argomento. Vive al Clarence Center.

Engineering the Organic: la partnership di JJ Polivka e Frank Lloyd Wright è attualmente in mostra presso la Buffalo & Erie County Historical Society. La mostra durerà fino al 7 gennaio 2001. La mostra è presentata dall'Università di Buffalo e dalla Buffalo and Erie County Historical Society. È stato prodotto da University Archives, School of Architecture & Planning, Center for Virtual Architecture, Department of Media Study, Architectural and Planning Library, Lockwood Memorial Library, Center for Book Preservation e Research & Interpretative Department del Buffalo e Società storica della contea di Erie.

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Fonte : Articolo pubblicato su Buffalo Spree nel dicembre 2000. La traduzione italiana è a cura della Redazione di ADAO.

 https://www.buffalospree.com/app/buffalospreemagazine/archives/2000_1112/111200architecture.html


lunedì 27 dicembre 2021

L'incompreso Wright: modernismo e tradizionalismo. Conferenza tenuta da Ken Dahlin.


L'incompreso Wright: modernismo e tradizionalismo. 

Conferenza tenuta da Ken Dahlin 
per la Monona Terrace Wright Design Lecture 
(20 agosto 2020)





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lunedì 20 dicembre 2021

Hobbit-House di Wolfgang Schlagwein, progetto di Udo Heimermann


Architettura Organica ispirata ai principi di Hundertwasser

Hobbit-House di Wolfgang Schlagwein
progetto di Udo Heimermann



Una casa come qualcosa di un film fantasy nel mezzo della città. Vivere senza angoli e spigoli, con forme organiche, curve, individuali e in armonia con la natura - Hobbit House di Wolfgang Schlagwein sembra un'isola incantata piena di fantasia nel mezzo di una zona residenziale di Bad Neuenahr-Ahrweiler.
Le forme curve della casa degli Hobbit, le finestre influenzate dall'Art Nouveau, gli alberi da frutto e i loro frutti nel giardino, le nuvole nel cielo: tutto dovrebbe formare un'unità, fluire l'uno nell'altro. La casa come essere vivente, come parte della natura, ispirata all'anatomia dell'uomo e degli animali.
Il progetto è dell'architetto Udo Heimermann, esperto di edilizia organica, un concetto dell'architettura che si adatta alla natura. Lo ha costruito nel 1998 in gran parte con materiali da costruzione biologici: argilla, arenaria, legno dei boschi della regione. Gli angoli arrotondati e le forme curve non solo hanno un aspetto armonioso e naturale, ma consentono anche di risparmiare spazio e materiale. L'architetto parla di "piante sostenibili".
Al centro della casa c'è una vecchia quercia il cui enorme tronco sostiene l'edificio. Wolfgang Schlagwein e sua moglie hanno scelto questo albero nella foresta cittadina di Sinziger. All'interno, il cliente ha disegnato molto personalmente e sviluppato la propria tecnologia con la quale impasta forme curve nell'argilla e ha così disegnato il suo spazio abitativo: il divano, il letto, la stufa a legna.
Ispirato da Friedensreich Hundertwasser e Antoni Gaudí, decora la cucina, il bagno e le facciate esterne con piastrelle di ceramica colorate e malconce. Le pareti della casa sono in calce e intonacate con argilla. L'argilla crea un piacevole clima ambientale - anche nelle estati molto calde rimane bella e fresca all'interno e in inverno l'argilla mantiene il calore nella stanza. Il tetto curvo è progettato con scandole in ardesia naturale in una "copertura selvaggia".
La casa sfocia nel frutteto e nell'orto. Wolfgang Schlagwein da bambino ha piantato alcuni alberi - ha costruito la casa sulla stessa proprietà della casa dei suoi genitori. Lui e sua moglie hanno anche tre galline che fanno tre uova al giorno. Wolfgang Schlagwein sviluppa costantemente nuove idee che implementa nella sua casa. È cresciuta con lui e continua a crescere. Gli abitanti e la casa formano un'unità in continua evoluzione, proprio come la natura che li circonda.


Un film di Ulrich Paulus (montatore), Johannes Bock (fotocamera/montatore) e Dennis Jankovic (suono).
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Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=s1_QPphRbEk
 

venerdì 17 dicembre 2021

Il territorio dell'altopiano armeno: interazione tra luogo e architettura, a cura di Arà Zarian


IL TERRITORIO DELL'ALTOPIANO ARMENO: INTERAZIONE TRA LUOGO E ARCHITETTURA
a cura di Arà Zarian

L'architettura per noi armeni ha avuto un importante significato, come la scultura per il mondo ellenistico. Tramite l'architettura è avvenuta la massima espressione spirituale della nostra nazione.
Costan Zarian. (Beyrouth, 1952)




Per capire il destino che ha favorito la formazione di una delle culture più espressive del grande Oriente Cristiano, - una cultura molto particolare che ha tratto spunti dall'Oriente e dall'Occidente, ed è stata molto presente nella civiltà bizantina come in quella musulmana, creata e formulata attraverso linguaggi, simboli, filosofie, miti, - è necessario osservare con attenzione e studiare il territorio, cioè la materia prima che ha favorito la formazione di "architetture naturali" che a loro volta hanno influenzato quelle create dall'intervento decisivo dell'uomo nell'antichità. Per comprendere qualsiasi cultura che abbia lasciato profondi segni e rilevanti valori umani e spirituali sono indispensabili comprendere il rapporto stabilitosi con il territorio nei secoli, in circostanze geografiche e spaziali precise.
Per l'armeno antico le emergenze geografiche assumevano importante significato teofanico: perciò le montagne ben individuabili all'interno dell'ampio territorio di circa 300.000 kmq, hanno ricevuto nomi e significati attribuiti anticamente a divinità le cui tradizioni sono state trasmesse anche dopo la conversione dell'Armenia al Cristianesimo.
La mitologia armena vuole che il biblico monte Ararat fosse il tempio eretto al Dio del Tempo, la divinità dominante sull'altopiano, che decideva di tutti i movimenti naturali che dovevano accadere ai piedi del maestoso monte. Seguendo questa "ierotesia", gli antichi armeni, come gli hittiti, i parti, i greci e i romani, facevano costruire le loro tombe dinastiche sulle cime dei monti più alti della Commagenia (Eski, Kalè, Nemrut', Karakash).
In Armenia il culto delle altezze si mantiene durante il Cristianesimo (adottato come religione di stato dal 301). Nessuna chiesa o convento è costruita in cima a un'altura, bensì sempre a un livello più basso, sopra un pianoro; si riteneva che la montagna rappresenti già un tempio, e dunque collocare l'edificio di culto sulla cima di una montagna, sarebbe ritenuto un sacrilegio. Questa scelta è effettuata anche in occasione della prima cattedrale cristiana armena, fondata da Gregorio Illuminatore (Grigor Lusavoritch) negli anni 301-303; in quell'occasione, fu individuato un territorio pianeggiante a Vagaharshapat, situato di fronte al maestoso monte Ararat, sul luogo dove il San Gregorio aveva avuto la visione della colonna luminosa su cui si ergeva la croce. Quest’atteggiamento è rispettato nei secoli, come possiamo notare nei casi delle chiese di: Garnì, IV-V sec., S. Croce (S. Khatch), sec. IV-V, SS. Paolo e Pietro (Poghos-Petros) di Zovunì, IV-VI sec., Jereruyk', V-VI sec., S.Sergio (Surb Sargis) di Dvin, V-VII sec., S. Giovanni (Surb Hovhannes) di Mastarà, V-VI sec, S. Giovanni di Avan, 591-609, S. Giovanni di Sissian, VII sec., Tzitzernavank', (tzitzernak-rondine, vank'-convento, convento delle rondini) VI sec., P(ë)t(ë)ghnì, VI-VII sec.
Nella vicina Georgia invece in molti casi sono state scelte proprio le cime delle montagne per l'edificazione delle chiese per es. Dj(ë)vari, VII sec., Gremi, XVI sec., Gergeti, XV-XVI sec.
Per dare un'immagine complessiva del territorio armeno (che identifichiamo con l'area occupata da quello che l'arch. Armen Zarian ha definito "Regno Ararateo di Van", definizione che con maggior esattezza riferisce l'immagine della "Grande Armenia" o dell'"Armenia Storica"), c'è da segnalare che si tratta di un altopiano (fra i 400 m. e i 2.000 m. di altitudine media) che, estendendosi tra i 38° e i 47° 30' di latitudine 37° e tra i 41° 30' di longitudine, è delimitato a Nord e a Est dai possenti bastioni dei Monti Pontici e dal Piccolo Caucaso e allungandosi verso Est, si congiunge con le catene dell'Elbrus-Khorasan. Parallelamente a queste catene montane, corrono verso Sud i monti del Tauro Armeno, allineati allo Zagros iranico, mentre a Ovest si elevano l'Anti-Tauro e l'Anti-Ponto che si prolunga dalla Cilicia verso Nord-Est per formare, unendosi ai sistemi del M(ë)njure del Menjan, il nodo dei monti della zona di Erz(ë)rum. È segnalato che da questa piattaforma ondulata, massiccia, rialzata e dislocata tra gli altopiani iranici, l'Asia Minore e l'Asia Maggiore, affiorano alture di notevoli dimensioni come: il monte Ararat composto dal Grande Masis, 5.156 m. (Azat-libero Masis) e del Piccolo Sis, 3.914 m. (Pok'r-piccolo Sis), il monte Aragatz, 4.090 m., il Nemrut, 3.050 m., il monte Sipan, 4.434 m., il Pachr, 3.282 m., il M(ë)nzur, 3.188 m.
 
All'interno di questa roccaforte dominante sul territorio circostante e chiusa tra catene montane, dove le alture sono divinizzate ed elette a simboli di credenze antiche e dove l'unico accesso al Regno suddiviso in feudi era costituito dalle "clusurae" o "dur(ë)n hayots" (ingressi, accessi, porte) situati sui passi e protetti da fortezze doganali, si trovavano numerose sorgenti e fiumi, ricchi d'acque dai percorsi tortuosi che andavano a fertilizzare le terre circostanti.
I fiumi principali, donatori di vita sono quattro: il Tigri (=Tigris), lungo 1.950 km; l'Eufrate (= Jep'rat), con i suoi due rami: (L'Eufrate Orientale o l'Aratzanì (500 km.) e l'Eufrate Superiore, lungo 2.700 km; l'Arax (= Jeraskh), lungo 913 km e, infine, il fiume Kura (=Kur), lungo 1.364 km. Questi fiumi mitologici insieme ai tre bacini dei laghi di Sevan (storicamente chiamato Geghark'unyats Tzov-Mar Splendito, h. 2. 000 m.), Van (o lago di B(ë)znunyats, h. 1.720 m.) e Urmia (o Kaputan Tzov- Mare Blu, h. 1.250 m.), situati in posizione triangolare tra il Mar Nero e il Mar Caspio, erano legati al culto del Dio delle Acque, il Vishap (drago) che si ritrova scolpito sulle rocce simili a un enorme pesce, o realizzato in massi di granito di notevoli dimensioni (3-3,5 m.), comunemente posti in verticale (simili ai menhir), attorno agli specchi d'acqua circolari formati dai crateri dei vulcani spenti da secoli.
I percorsi di questi fiumi hanno favorito la fioritura delle città armene che si sono succedute nei secoli come capitali del potente Regno Armeno. Sono le città Artashat, Vagharshapat, Jervandashat, Armavir, Tigranakert, Anì, che promossero la fondazione di tante chiese e templi d'epoca precristiana lungo le verdi vallate dell'Altopiano Armeno. Dove l'acqua veniva a mancare, i re urartei costruivano dei canali artificiali a uso agricolo; uno dei più famosi è il canale di Shamiram lungo 80 km, costruito dal re urarteo Menuà nel IX sec. a.C. le cui acque ancora oggi irrigano i terreni presso la città di Van (l'antica Tushpa del Regno Urarteo). Le sorgenti d'acqua hanno costituito i fattori principali nella scelta storica dello stanziamento delle popolazioni Ar-Arà, di religione Solare, concentrate attorno ai bacini dei laghi Van e Sevan, dove scavi archeologici confermano la presenza d’importanti insediamenti urbani araratei (Tushpa, Sevan, Hayravank', Vanevan,). La scelta consapevole delle vallate dei fiumi, ove spesso passavano le famose strade carovaniere di commercio internazionale, delle rive dei laghi, delle isole, delle penisole, già individuate come località d'importanza spirituale, vitale, paesaggistica, politica, religiosa, strategica, economica, urbanistica, con la diffusione all'inizio del IV secolo del Cristianesimo in Armenia come religione di Stato, si propone anche per i nuovi edifici di culto come continuazione della tradizione, sebbene sostanze e concetti siano completamente nuovi. A proposito vanno ricordate chiese e conventi fondati nel medioevo in luoghi anticamente deificati che avevano un’importanza simbolica nel periodo pagano e situati lungo i tracciati delle profonde valli dei fiumi, come quelli sul fiume K'asagh: le chiese di Santa Domenica (Surb Kirakì) di Arznì (VI sec.), S Tziranavor di Ashtarak (VI sec.), i conventi di Hovhannavank', VI, XIII sec., Saghmosavank', XIII sec., i conventi del fiume Aghstev: Makaravank', IX-XIII sec., Haghardzin, XII-XIII sec., Goshavank', XII-XIII sec., Mat'osavank', XIII sec., Jenokavank', XIII sec., Deghdzuti vank', XIII sec., oppure gli edifici di culto cristiano eretti attorno al lago Sevan: il convento di Vanevan, VII-X sec. le chiese di Madre di Dio (Surb Astvatzatzin) e S. Risurrezione (Surb Harut'yun) dell'isola (ora penisola), IX-X sec., i conventi di Hatsarat, IX sec., Masrats Anapat, IX sec., Shoghagavank', IX sec., Kot'avank', IX sec., Mak'enatsotsvank', IX-X sec., Hayravank', IX-X sec. e il monastero costruito nell'isola di Aght'amar, IX-X sec., sul lago di Van. Tanti di questi conventi costruiti nel medioevo, sono stati eretti in luoghi dove già esistevano edifici di culto del periodo precristiano, totalmente demoliti all'inizio del IV secolo e sui cui resti erano edificate le nuove chiese. Esempi che testimoniano la continuità di questa tradizione si hanno tutt'oggi, come la Cattedrale di Edjmiatzin I, (luogo della discesa dell'Unigenito, IV-V-VII sec.), la basilica a navata unica di SS. Paolo e Pietro a Zovunì, (IV-VI sec.), il convento monastico di Astvatzënkal, (V-XII sec.), il convento di Hovhannavank', (V-XIII sec.), la chiesa a pianta centrale di Hrip'simè, (618), la chiesa cruciforme di K'arashamb, (VII sec.), la chiesa di S. Giovanni di Mastarà, (V-VI sec.).


Nagorno Karavakh, il monastero di Dadivank

La natura vulcanica del suolo dell'altopiano armeno dovuta allo scontro della piattaforma settentrionale con quella meridionale cui sono seguiti l'innalzamento e il corrugamento della superficie terrestre, ha favorito la formazione di materiali d'origine vulcanica: il tufo, la pomici, la scoria. Sono molto preziosi anche i materiali vetrosi come perliti e ossidiane che sono localizzati soprattutto nella zona centrale dell'attuale Repubblica. Oltre a questi materiali leggeri, facilmente disponibili e lavorabili (i tufi possono essere tagliati manualmente con una semplice sega da legna), l'Armenia è molto ricca di pietre dure quali i basalti, le andesiti, e i graniti. Meno diffusi sono i marmi, le pietre calcaree, le dolomiti, le pietre gessose e i quarzi. Sin dalla messa in opera dei blocchi di materiale lapideo nelle mura ciclopiche delle città del Regno Ararateo di Van, fino all'arte del "ricamo" sulla pietra dei maestosi khatchk'ar, gli scalpellini armeni hanno saputo scegliere le cave, tagliare e trasportare accuratamente i blocchi, lavorare e mettere in opera i meravigliosi materiali lapidei d'Armenia che la natura così generosamente ha donato. Fra essi il gruppo più espressivo è certamente costituito dalla vasta gamma dei tufi, materiale maggiormente impiegato per la costruzione di chiese, conventi, palazzi, ponti, caravanserragli, in tutto il territorio dell'Armenia Storica (ora la Repubblica Armena comprende solamente un decimo del territorio originario oggi suddiviso tra la Turchia, l'Iran, la Siria, l'Azerbaidjian e la Georgia). Il tufo, inoltre, ha ottime qualità d’isolamento termico e acustico e offre una vasta gamma cromatica (bianco, giallo, marrone, rosa, rosso, nero). L'edificio costruito con questo materiale, s’inserisce perfettamente nell'ambiente circostante costituito da rocce dello stesso materiale vulcanico. Esso si presta bene alla realizzazione di un certo tipo di costruzione dell'alzato detta midis, grazie alla quale diventa possibile l'esecuzione di elementi geometrici come le volte a botte, gli archi trasversali, le esedre diedriche, le nicchie armene, le calotte, le semisfere delle cupole, gli archi incrociati ecc. Il "muro armeno" rappresenta una struttura composta di tre strati, due dei quali costituiscono i paramenti esterni e interni, perfettamente levigati, al loro interno è realizzato un getto costituito prima dal materiale avanzato dalla lavorazione dei blocchi stessi, poi da una malta fluida di tipo cementizio. Studi recenti confermano che il muro costruito con questa tecnica (utilizzata anche nell'edilizia moderna però con l'uso dell'acciaio), dopo due-tre anni dalla sua esecuzione acquista una struttura monolitica e, se eseguita in maniera corretta, può mantenere le sue qualità per secoli, nonostante gli sbalzi della temperatura e le condizioni atmosferiche. Questo tipo di muratura e la regione stessa dell'Armenia, zona ad alto rischio sismico, hanno determinato la nascita di tipologie particolari (Edjmiatzin, Bagaran, Hrip'simè), l'invenzione di soluzioni costruttive anti-sismiche (con elementi quali le fasce di pietra incastro, come nel campanile di Haghbat, le nicchie triangolari esterne situate nell'interspazio del paramento tra abside e cappelle laterali com’è il caso della chiesa di Hrip'simè e di tanti altri edifici di questa tipologia) che, arricchiscono a loro volta, di nuovi elementi la produzione architettonica.
La scelta della forma progettuale logica, matematica, massiccia, di una volumetria plastica interna, l'uso dei giochi d'ombra e dei chiaro-scuri, la severità, ma anche la chiarezza e la semplicità delle forme prescelte nell'espressione esterna dell'edificio, crea un insieme felice per questi "gioielli" sparsi sulle colline. L'esatta scelta tipologica, l'uso specifico dell'edificio religioso, la coscienza dell'importanza dell'impresa, la presenza di altri valori naturali o costruiti sul territorio circostante, il carattere del popolo formatosi alla presenza dei suoi miti e simboli, sono i fattori più importanti che influenzino direttamente, il rapporto tra il costruito e la natura.
La simbologia ha avuto sempre un'importanza decisiva per una scelta armonicamente perfetta. Ne sono esempio gli eremi semidistrutti, localizzati in posti disabitati e difficilmente raggiungibili, situati sui declivi di dolci colline, protette da rocce massicce, dalle cime fortificate. (Tsakhats K'ar, XI sec., Spitakavor, XII-XIV sec., Shatinvank', XVII-XVIII sec., tutti nella reg. Jeghegnadzor, R.A. Il confronto fra il costruito e il paesaggio si evidenzia nel carattere della gente e si ritrova negli edifici religiosi, dimostrando l'abilità degli armeni nei confronti dell'interazione tra l'ambiente naturale e quello costruito.
Nonostante la presenza dell'ideologia omogenea data dalla fede cristiana, i canoni della chiesa armena, dalle scelte architettoniche degli spazi interni e le volumetrie spaziali esterne, alle diverse peculiarità della geografia del territorio hanno stimolato la valutazione e la scelta di espressioni individuali localizzate in diverse regioni (gavar). Ciò ha favorito la nascita di scuole regionali di architettura armena che portano i nomi degli stessi gavar: Shirak, Gugark', Ayrarat, Syunik', Vaspurakan, Anì, Artsakh, Tayk'. Nonostante la diffusione delle varie tipologie su tutto il territorio dell'Altopiano Armeno, l'interpretazione locale, trasmessa attraverso forme architettoniche monumentali, creò un rapporto differente in cui si evidenziarono particolarità riguardanti non solamente le usanze e la tradizione strettamente locale, ma anche un nuovo rapporto nel modo di costruire e inserire gli edifici nei luoghi prescelti.
Un ultimo cenno riguarda il raggruppamento di numerosi edifici costruiti in età diverse attorno ad un unico nucleo, in luoghi sacri, quindi carichi di simboli e miti. La composizione architettonica-planimetrica si sviluppa con una certa logica spinta a rispettare con precisione gli assi fondamentali di simmetria, il rapporto volumetrico delle forme architettoniche dettate dalle esigenze del Centro spirituale e culturale. Questa nuova espressione specifica è inevitabilmente appoggiata dalle relazioni con l'ambiente naturale circostante, di cui diventa il fattore più importante per il raggiungimento dello scopo voluto. Interessanti esempi di monasteri e conventi dalle architetture complesse e raffinate che presentano un'interazione straordinaria tra natura e edificio, sono dati dai monasteri di: Vorotnavank', VII-X sec., reg. Ghap'an, Tat'ev, X-XI sec., reg. Goris, Vahanavank', X-XI sec., reg. Ghap'an, G(ë)ndevank', X-XIII sec., reg. Vayk', Kh(ë)tzkonk', XI sec., vilayet' di Kars, Gandzasar, XIII sec., reg Mardakert in Artsakh.


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BIBLIOGRAFIA IN RIFERIMENTO ALL'ARTICOLO
Gh. Alishan, Teghagir Hayots Metzats, (Descrizione della Grande Armenia), Venezia, 1855, (in armeno classico).
Agat'angeghos, Patmut'yun Hayots, (Storia dell'Armenia), Tp'ghis, 1909, (in armeno).
H. Manandian, Hayastani k'aghak'nerë X-XI darerum, (Le città armene nei secoli X-XI), Erevan, 1940, (in armeno).
Z. Hatsagortzian, Prirodnye kamennye materialy Armenii, (I materiali natiurali lapidei dell'Armenia), Erevan, 1967, (in russo).
T'. Kh. Hakobian, Hayastani patmakan ashkharhagrut'yun, (Geografia storica dell'Armenia), Erevan, 1968, (in armeno).
A. Alpago Novello, Architettura e territorio in Armenia, in Atlante, XXII, n°198, pp.40-53, 1981.
A. Zarian, Aknark hin ev midjnadaryan Hayastani k'aghak'ashinut'yan patmut'yan, (Cenni storici sull'urbanistica dell'Armenia del periodo antico e medievale), Erevan, 1986, (in armeno).
A.A.V.V., Gli armeni, Jaca Book, Milano, 1986.


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Fonte:  http://www.arazarian.it/architettura.html


martedì 14 dicembre 2021

La Ciudad Abierta, Valparaiso, Cile : vita - poesia - architettura

 

La Ciudad Abierta, Valparaiso, Cile
VITA - POESIA - ARCHITETTURA

a cura di Maria Grazia Mura, Antonella Turchi, Franca Pampaloni



La Ciudad Abierta, seconda sede extraurbana della Scuola di Architettura della Università Cattolica di Valparaiso (Cile), è stata realizzata a partire dal 1971 tra le dune del Ritoque, in uno scenario selvaggio affacciato sull’oceano pacifico.
Fondata da un gruppo di architetti, poeti e altri artisti, docenti della Scuola di Architettura, la Ciudad Abierta è diventata un’avventura culturale tra le più importanti del continente sudamericano.
Qui le attività didattiche – corsi e workshops - sono ospitate dentro edifici e istallazioni realizzati in autocostruzione dagli stessi docenti e studenti, attraverso un processo condiviso da tutti, che lega il costruire all’atto poetico, l’arte alla vita.

Il Palazzo dell’alba e del tramonto, sistemazione esterna destinata ad incontri e assemblee

Aula all’aperto

Acquistati i terreni, il gruppo dei fondatori – tra cui il poeta Godofredo Iommi e l’architetto Alberto Cruz – ha dato vita ad una straordinaria esperienza culturale, didattica, e di vita.
La scelta di impiegare materiali poveri, la volontà di costruire ‘senza collocarsi nel possesso’ hanno dato vita a più di 45 strutture – tra laboratori, luoghi di riunione, residenze per famiglie e per gruppi di studenti, opere all’aperto – segnati da un carattere di transitorietà, leggerezza, ricerca di linguaggi nuovi e non standardizzati.
Per capire lo spirito della Ciudad Abierta è necessario riconoscere l’importanza che viene data dell’azione corale: qui si progetta, si costruisce e si sperimentano i linguaggi architettonici sempre in modo condiviso.
All’inizio del processo che porterà alla realizzazione di un nuovo manufatto, l’architettura si lega e si rivitalizza attraverso il contatto con la parola poetica, generata anch’essa attraverso azioni collettive chiamate faenas.
In questa ricerca costante, l’università sperimenta ininterrottamente su sé stessa i contenuti degli insegnamenti, mettendo in atto un rapporto vivo ed in continua trasformazione tra elaborazione didattica e spazio agito ed abitato.



Residenza.

Le geometrie irregolari di una finestratura

Ogni episodio architettonico è risolto realizzando elementi e soluzioni unici e fortemente contestualizzati.
Le dune, spazi, mobili per eccellenza, oltre alle costruzioni ospitano giochi e feste che celebrano momenti di significato comune.

La Torre dell’acqua. Installazione

L’esperienza della Ciudad Abierta è segnata dalla volontà di affermare la propria specificità sudamericana e dall’autonomia rispetto ai canali della cultura architettonica dominante. Anche il riferimento al pensiero cristiano è fondamentale per comprenderne la filosofia: ‘ricchezza e potere contaminano lo sforzo e confondono le intenzioni. Al contrario povertà e risparmio devono essere celebrate e coltivate’.
citato in: Alfieri, Massimo; La Ciudad Abierta, Roma, Dedalo, 2000, p.47


Molte costruzioni sono in legno

Gli edifici comprendono laboratori, luoghi di incontro e residenze per famiglie e per studenti. Le forme inusuali, uniche e fortemente contestualizzate, insieme al rifiuto di qualunque linguaggio standardizzato, testimoniano il piacere di costruire.
I fabbricati della Ciudad sono occasione per sperimentare soluzioni tecnologiche originali, che tengono conto - ad esempio – delle possibilità e dei limiti dati dai materiali utilizzati, in genere poveri e reperiti in loco.

Spiazzo tra due residenze per studenti

Interno di una veranda

Angolo


Costruzioni nel paesaggioLa tenuta del Ritoque – che ospita la Ciudad Abierta - è un’area costiera molto vasta, aperta in zone pianeggianti e percorsa da dune altissime. La vegetazione è generalmente bassa e scarsa, fatta eccezione per alcune aree alberate.Le architetture sono influenzate anche delle particolari condizioni ambientali del sito, date dalla presenza delle dune e del vento dell’oceano.

Molti edifici sorgono direttamente sulle dune

Costruzione realizzata in legno e materiali poveri

La Ciudad Abierta rappresenta uno straordinario esperimento didattico dove gli spazi stessi della scuola sono oggetto di laboratori di autocostruzione.
L'apprendimento si realizza attraverso percorsi di ricerca continua, con il coinvolgimento diretto, nel costruire manufatti, installazioni ed edifici da vivere e abitare.
La Ciudad dà vita a straordinarie occasioni per comprendere ed interpretare l’architettura.
… dove è possibile trovare un rapporto così stretto fra forma della scuola e contenuti didattici, fra la dimensione teorica e la fruizione del risultato costruito?
Il metodo di insegnamento è anche il luogo dove si formano gli studenti perché la costruzione e ricostruzione continua della scuola è il frutto della sperimentazione sviluppata all’interno della stessa.
Lelli, Gabriele, La scuola di Valparaiso. Ritoque: La Ciudad Abierta, su Costruire in Laterizio, n.92, marzo 2003.

Ombre e luci nel Palazzo dell’alba e del tramonto.

Palazzo dell’alba e del tramonto. Particolare del sistema di canalizzazione delle acque

Le costruzioni sono occasioni per sperimentare soluzioni originali e informali e modulazioni geometriche che interagiscono con lo spazio esterno, come il Palazzo dell’Alba e del Tramonto.

Le geometrie disarticolate di una scala esterna.

…Queste architetture non corrispondono ad alcuna tipologia consolidata ma servono ad attività che sono inventate insieme a loro …
Ecco una spiegazione del ruolo della geometria ed anche della composizione informale … sono regole che il gioco di volta in volta impone….
Alfieri, Massimo, La Ciudad Abierta, Roma, Dedalo, 2000, p.91

Il rapporto tra poesia e architettura, lungi dall’essere un richiamo emotivo o sentimentale, trova le sue radici nella stessa nascita della Ciudad Abierta, ne è componente fondamentale e vi trova un posto di assoluto rilievo.
Gli ‘atti poetici’ o ‘faenas’ ideati dal poeta Godofredo Iommi – uno dei fondatori – sono degli eventi collettivi in cui la parola poetica diventa strumento per decostruire e ricostruire i rapporti con la realtà e con i luoghi, per scoprirvi connessioni, bellezza, contrasti.
Il valore di questo contatto si esplicita nel significato che viene attribuito al fare poetico ed all’azione del costruire: come in tanta poesia le parole non sono usate per descrivere, ma per creare immagini collegate con il ritmo del linguaggio, così gli elementi che compongono queste architetture non rimandano in prima istanza a funzioni specifiche …
… Essi si propongono nel loro valore intrinseco, capace di innestare reazioni emotive, e soprattutto quella curiosità che è la principale matrice dell’apprendimento e della creatività ….
… questo accostamento appare … spiegabile e geniale quando si pensi che proprio la lingua, a differenza della pittura e della scultura, condivide con l’architettura il destino di essere per lo più usata in modo funzionale, per comunicare messaggi in modo il più possibile chiaro ….
Ecco allora che la poesia diventa la lingua usata per sé stessa e se ne fa un dono a chi ascolta, e viene fatta da tutti ….
Così l’architettura, sollecitata da questo esempio si fa con lo stesso carattere: per sé stessa, senza legame di necessità con una specifica funzione da soddisfare, ed in modo collettivo.
Alfieri, Massimo; La Ciudad Abierta, Roma, Dedalo, 2000, p.49

I poeti della Ciudad Abierta si richiamano ad artisti francesi, tra cui Rimbaud e Lautreamont, da cui ereditano in particolare l’idea che la poesia debba essere fatta da tutti.


Edifici sulle dune

La temporaneità caratterizza molte delle architetture: ciò che più conta è il processo, il modo in cui le cose si compiono, paragonato spesso dagli stessi protagonisti al gioco, un evento dove in primo piano è il fare, non uno scopo esterno.
La fragilità delle architetture è libertà ‘dal possesso’, possibilità di creare e inventare nuove soluzioni, libertà dalla preoccupazione di far durare e proteggere. Il loro carattere effimero è particolarmente evidente non solo nella discontinuità d’immagine, nella scelta dei materiali poveri, nell’impiego di tecnologie da autocostruzione, ma anche nella scelta di edificare sulle dune, luoghi mobili per eccellenza, dai confini incerti.

Una frase di Alberto Cruz e Godofredo Iommi illustra e spiega molto efficacemente lo spirito del costruire ‘temporaneo’ della Ciudad Abierta:
“se si costruisce senza collocarsi nel possesso e nei suoi obiettivi il lavoro non tende verso il futuro, non è un mezzo, ma piuttosto presenza … ‘Lì’ e ‘così e ora’”
citato in: Alfieri, Massimo; La Ciudad Abierta, Roma, Dedalo, 2000, p.49

Se, come afferma Iommi, il gioco è il “massimo rigore della libertà”, qui…
“Le azioni … come i poemi di natura collettiva, sono aperte: in generale contengono l’imprevisto e si sviluppano secondo le circostanze del momento. Sebbene alcune divergano dal gioco in senso stretto, sono ammesse in quanto anello del processo creativo: tutte sembrano riferirsi a questo “massimo rigore di libertà”.
Perez de Arce, Rodrigo; Valparaiso Ludens, su Lotus, n.124, giugno 2005


Organo eolico formato da tubi che emettono suoni con l’azione del vento

Ogni anno, a partire dal 1964, la Escuela de Arquitectura y Diseño della Università Cattolica di Valparaiso organizza dei viaggi di studio – detti travesias (traversate) - il cui scopo è realizzare concretamente un’architettura di carattere generalmente effimero e leggero, che testimoni del lavoro didattico svolto durante l’anno.
L’opera viene costruita da studenti e professori alla fine di un viaggio che li porta lungo itinerari nel continente latino americano, che durano circa un mese e comprendono mete sempre diverse e spesso poco conosciute e abitate.
Ancora una volta la didattica diventa esperienza vissuta, che si materializza nella forza dell’incontro con luoghi alieni dal quotidiano, e nel progettare e costruire – con mezzi limitati – un manufatto architettonico che rispecchi i risultati del laboratorio progettuale.

Il progetto, quando esiste, è frammentario, la centralità appartiene all’atto del costruire.

Facciata di un’abitazione

La modalità che guida la costruzione dei manufatti è quella del lavoro collettivo: il trabajo en ronda (lavoro a staffetta) compiuto in autonomia.
Il costruire, così come l’atto poetico, sono intesi come azioni collettive, non perché dispositivi pedagogici, ma perché accadimenti capaci attraverso la loro forza, di indicare e realizzare nuovi rapporti con la realtà e con i luoghi.

Interno accogliente e luminoso di un’abitazione per studenti


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La Ciudad Abierta: seconda sede extraurbana della Escuela de Arquitectura y Diseño della Pontificia Universidad Católica de Valparaíso.
Complesso formato da più di 45 strutture, tra cui edifici adibiti a laboratori e luoghi di riunione, luoghi di incontro, aule all’aperto, residenze per famiglie e per gruppi di studenti, cappella all’aperto, cimitero, sistemazioni all’aperto, installazioni espressive e artistiche.
Ubicazione: Ritoque, località disabitata affacciata sull’oceano a 30 km da Valparaiso, Cile.
Fondazione:1971

Bibliografia:
• Alfieri, Massimo; La Ciudad Abierta, Roma, Dedalo, 2000, Il volume offre una ricca bibliografia.
• Perez de Arce, Rodrigo; Valparaiso Ludens, su Lotus International, n.124, giugno 2005. L’articolo offre anche riferimenti bibliografici.
• Lelli, Gabriele; Mazzotti, Valentina; La scuola di Valparaiso: Ritoque: La ciudad abierta, su Costruire in Laterizio, n. 92, marzo aprile 2003

Sito della Escuela de Arquitectura y Diseño della Pontificia Universidad Católica de Valparaíso: http://www.ead.pucv.cl


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lunedì 13 dicembre 2021

domenica 12 dicembre 2021

La scuola di Valparaíso: Dalla costruzione poetica dell’architettura alla fondazione della Città Aperta, di Augusto Angelini

 

La scuola di Valparaíso:
Dalla costruzione poetica dell’architettura
alla fondazione della Città Aperta



Augusto Angelini






La «Scuola di Valparaíso» è una delle esperienze più importanti della ricerca architettonica degli ultimi sessant’anni in America del Sud. È la storia di un gruppo di architetti e di artisti che, guidati dall’architetto cileno Alberto Cruz e dal poeta argentino Godofredo Iommi, hanno dato vita a una scuola di architettura che si basa sulla poesia e sul lavoro comunitario. Un’esperienza che non solo ha inventato un modo di insegnare e di fare architettura, ma che ha creato una «visione» dell’America che riesce poeticamente a restituire una lettura originale del continente americano. Al tempo stesso, ha sviluppato un linguaggio figurativo che include un modo di disegnare, di scrivere e di parlare, un linguaggio che giunge alla forma osservando «gli atti» della vita e come questi acquisiscano forma e misura.

 L’architettura per la Scuola consiste nella creazione di un luogo orientato, ossia radicato nello spazio esteso, un luogo in cui sia possibile stare. L’invenzione, il rapporto con la natura e il carattere leggero dell’opera, illuminano il processo creativo e danno
forma a un’interpretazione della modernità in America Latina. L’approccio poetico e artistico della Scuola ha trasformato Valparaíso1 – città-porto situata al centro di quella striscia di terra lunga 4000 chilometri che è il Cile – in un’aula all’aperto dove gli studenti osservano e scoprono l’architettura.
Sin dall’inizio, le attività didattiche sviluppate da quel gruppo di architetti e di artisti hanno attirato l’attenzione della società, per il loro modo radicale di praticare l’insegnamento e di farlo diventare punto di riferimento e modello di scuola. L’eco di quell’esperienza ha valicato i confini d’America ed è arrivata in Europa, sia attraverso i racconti degli ospiti che hanno visitato la Scuola e la Città Aperta2, sia attraverso pubblicazioni europee e statunitensi3 che hanno imposto all’attenzione della critica internazionale la ricerca del gruppo: una ricerca il cui primo carattere stava in un’originale visione poetica del continente sudamericano. 

In questo scritto intendo presentare la Scuola partendo da quelli che a mio avviso possono essere considerati i quattro cardini della sua attività:
- il rapporto fra poesia e architettura, in quanto possibile disvelamento della condizione
americana, così com’è espressa dal poema Amereida4;
- l’insegnamento, a partire dall’osservazione architettonica, intesa come sguardo sul reale e
come strumento di pensiero proprio dell’architettura;
-la traversata5, ossia un’idea di viaggio come atto fondativo, come esperienza di scoperta del territorio americano capace di incorporare nella formazione dell’architetto la dimensione
continentale;
-la Città Aperta, come costruzione di un’utopia concreta in cui si vive, si lavora e si studia in una comunità-laboratorio.


La Poetica della Scuola: Amereida

«Ogni essere umano ha un dono,
un dono che è la parola.
Parlare è accordare il linguaggio.
Lo si può fare sino a raggiungere
la sua tensione limite,
che è la poesia»
GODOFREDO IOMMI, da una lezione del laboratorio detto Taller de América, Valparaíso, 1991

La parola poetica serve di fondamento all’architettura: la poesia non intesa come generica fonte d’ispirazione, ma come indicazione. L’unione tra poesia e architettura è per la comunità di Valparaíso un modo di vita. La Scuola intende la condizione umana come una condizione poetica: «l’uomo vive liberamente e senza sosta, in attesa e con coraggio, per fare il mondo»6,. Le azioni poetiche, chiamate phalènes7, si ispirano ai metodi di Breton e dei surrealisti, secondo i quali l’azione poetica si doveva realizzare collettivamente. Da Baudelaire è mutuata l’idea di gettarsi nella folla, di immergersi nella città. La massa era il velo fluttuante attraverso il quale Baudelaire vedeva la città di Parigi. Allo stesso modo, le phalènes create da Iommi possiedono lo spirito baudelariano dell’immergersi nella massa, inventando e interpretando un percorso tra due punti della città, lungo il quale i partecipanti vanno scrivendo una sorta di poema collettivo. Questo rapporto con la poesia, esemplificato nel poema epico Amereida, si nutre della lettura e dello studio dei classici (Virgilio e Dante, Hölderlin e la poesia francese del Novecento) e dei filosofi (soprattutto Nietzsche e Heidegger), con l’intenzione di individuare l’origine e il destino del continente americano. 

«Pieno di merito, ma poeticamente, abita / l’uomo su questa terra»8: questo verso di Hölderlin è uno dei riferimenti che risuonano con maggior forza in Amereida9 e nella Scuola. Di Rimbaud, la Scuola fa sua l’idea che «bisogna essere assolutamente moderni»10, appropriandosene, facendone uno dei manifesti dello spirito d’avanguardia e ponendolo a base dell’azione. Modernità che in Amereida è enunciata come condizione dell’uomo, come senso d’apertura nei confronti del reale, come ricerca costante dei principi e delle possibilità di trasformazione artistica del reale stesso. La poesia dalla Scuola viene intesa come poïesis, cioè come disvelamento del mondo e della vita. Su questo si basa l’idea stessa dell’osservazione architettonica, l’idea di fondare il progetto sulla parola, intesa come capacità di nominare l’essenza dei luoghi, tanto nell’osservazione dello spazio dal vero, quanto nella prefigurazione progettuale. 

«In Grecia, vi dico, i versi e la lirica prendevano il ritmo dall’azione, dopo di che tanto la musica come il ritmo divengono gioco e divertimento»11. Questa considerazione di Rimbaud diviene per la Scuola l’affermazione: «parola detta, parola realizzata», come scrive Iommi. L’ampio orizzonte teorico della Scuola (esemplificato dai riferimenti sopra
 citati) distingue quest’esperienza dai movimenti che hanno rivendicato l’identità latinoamericana in maniera folcloristica e provinciale. 

Il poema Amereida, iniziato dal gruppo alla vigilia della prima traversata, compiuta nel 1964, costituisce il fondamento poetico e filosofico che guida le attività della Scuola e della Città Aperta. Già nel titolo (che deriva dall’unione di «Eneide» e di «America») sono indissolubilmente intrecciate l’idea del viaggio come scoperta della patria (il continente americano) e l’idea di fondare l’architettura a partire dalla parola poetica. In questa prima traversata, nella città argentina di Santiago del Estero, nel corso di un «atto poetico» il gruppo disegna una nuova carta del Continente, il cui orientamento è ribaltato rispetto alla convenzione geografica: al profilo dell’America è sovrapposta simbolicamente la costellazione della Croce del Sud, i cui quattro estremi vengono così nominati: il punto verso Capo Horn, dove Vespucci aveva avvistato per prima volta la Croce del Sud, viene chiamato Àncora; quello opposto, collocato nei Caraibi, viene designato con la parola Origine, perché lì era sbarcato Colombo, nelle terre che credeva fossero le Indie. Viene invece chiamato Luce il punto coincidente con la sponda atlantica, quella fisicamente più vicina all’Europa, poiché è a partire dall’Europa che sorge l’America. L’estremità opposta, verso il Pacifico, viene chiamata Avventura, perché da lì ha inizio il Mare nuovo, il Mare sconosciuto.
Questa azione sintetizza con forza simbolica il modo in cui la parola poetica rappresenta per la Scuola il mezzo per andar oltre il significato comune delle cose, e il modo in cui dare nome alle cose è un atto d’orientamento, per indicare all’operare architettonico un significato ed un compito.

L’insegnamento

Nel 1952 l’ordine dei Gesuiti decise di rinnovare la Universidad Católica de Valparaíso, affidandone il compito ad Alberto Cruz, che apparteneva allora alla facoltà di architettura della Universidad Católica de Santiago, facoltà in cui si era laureato nel 1945 e in cui insegnava Composizione dal 1950. Cruz aveva partecipato al movimento di protesta e di occupazione della sua facoltà nel 1949, insieme ai laureandi e ai giovani professori che volevano rinnovare l’insegnamento, sino ad allora legato a canoni didattici Beaux Arts. Uno dei momenti rilevanti dell’azione intrapresa dal movimento studentesco, era stata l’occupazione dell’università, culminata nella distruzione da parte del gruppo ribelle, nel cortile della Casa Central, del trattato del Vignola. Alberto Cruz accettò l’incarico a patto che venisse esteso a tutto il suo gruppo – costituito tra gli altri da Godofredo Iommi, Jaime Bellalta, Fabio Cruz e José Vial –, conscio che una trasformazione radicale era possibile solo con una larga convergenza d’intenti. Fu l’inizio di una vita di comunità a Cerro Castillo, in un complesso di case a schiera che il gruppo aveva preso in affitto nel centro urbano di Viña del Mar, contiguo a Valparaíso. In questo periodo i membri del gruppo, organizzati in una struttura priva di gerarchie e finanziata tramite la comunione degli stipendi, stabilirono le basi di quella che chiamarono in seguito «hospitalidad», secondo un’idea che è alla base della Città Aperta. La cerchia delle persone che provenivano da Santiago era fortemente influenzata dal Movimento moderno e soprattutto da Le Corbusier, il quale nel 1929, in una conferenza alla facoltà di architettura di Buenos Aires, aveva indicato nello schizzo e nel rilievo dal vero il metodo per imparare l’architettura: annotando per mezzo del disegno le situazioni spaziali, si poteva risalire all’essenza delle cose, alle loro relazioni con la città, ai rapporti di misura tra le parti e il tutto, ai materiali da costruzione. È indubbia l’influenza che l’indicazione di Le Corbusier ha avuto su Cruz e su tutto il gruppo, come risulta evidente dal programma di studi che essi presentano all’Università Cattolica di Valparaíso. La rifondazione della scuola d’architettura prevedeva la creazione dell’Istituto d’Architettura e un insegnamento basato sul lavoro collettivo, definito lavoro en ronda. Il gruppo assume l’osservazione architettonica come lo strumento con cui gli studenti devono imparare a rilevare, con la parola e con lo schizzo, una situazione dello spazio, facendone il «materiale» con cui progettare la forma architettonica.

 Ciò spiega perché Valparaíso si trasformi nell’aula nella quale si impara, percorrendola e disegnandola, e guardando non solo alla città, ma anche a los actos, ai fatti architettonici, e alla luce che li converte in forma. Dopo un primo momento di esperimenti didattici non accademici, basati su un ordinamento degli studi per «botteghe», in cui il lavoro era svolto da un maestro e da un numero esiguo di studenti che imparavano il mestiere per emulazione, la Scuola, senza tradire la propria concezione anti-accademica, si struttura in cinque corsi principali: il Laboratorio di Progettazione, il Corso sullo Spazio, il Laboratorio d’America, il Corso di Presentazione dell’Architettura e il Corso di Cultura del Cuerpo.

La traversata

La prima traversata viene effettuata nella primavera del 1964 e prevede l’attraversamento dell’America del Sud secondo la linea retta che unisce Cabo de Hornos in Patagonia, con Santa Cruz de la Sierra in Bolivia, uno dei due assi della proiezione della costellazione della Cruz del Sur sulla carta d’America. È proprio nel punto d’intersezione tra i due assi della costellazione che si trova Santa Cruz, nominata in Amereida «capitale poetica d’America». La traversata costituisce un atto fondativo, in cui il viaggio epico si sovrappone al viaggio architettonico: è un punto d’incontro tra le phalènes (le «azioni poetiche» che la Scuola aveva svolto nella città di Valparaíso) e il viaggio, inteso come conoscenza e come rilievo del territorio americano. Dieci furono i membri che parteciparono alla prima traversata: Jonathan Boulting, poeta inglese; Alberto Cruz, architetto cileno; Fabio Cruz, architetto cileno; Michel Deguy, poeta francese; François Fédier, filosofo francese; Claudio Girola, scultore argentino; Godofredo Iommi, poeta argentino; Jorge Pérez Román, scrittore cileno; Edison Simons, poeta brasiliano; Henry Tronquoy, poeta francese.
È in questa traversata che viene scritta la maggior parte di Amereida, che è anzitutto una «visione» dell’America. Nel poema è espressa l’idea che il continente americano in realtà non sia mai stato scoperto: Colombo cercava le Indie, e forse quel suo desiderio fece sì che il continente rimanesse celato. Il continente americano per Amereida è un dono per il mondo, un territorio disponibile per le diverse etnie che arrivano dall’Europa. Per Amereida, «in America non si nasce, ma si inizia come latini»12, perché l’origine dell’America sta nella civiltà greca e latina. 

Dal 1984 i laboratori di progettazione propongono come parte integrante della loro formazione il compito d’andare in traversata, creando un’occasione che diviene un’esperienza unica e feconda; gli studenti partono insieme ai professori per scoprire il territorio americano, costruendo insieme piccole opere d’architettura: segni lievi che vengono offerti agli abitanti del posto e che costituiscono un ampliamento dell’ospitalità della Città Aperta. Ciascuna di queste opere ha il compito di «svelare» il continente, dato che l’essenza del continente si scopre agendolo attraverso l’architettura, cioè attraverso una costruzione che segna il carattere del luogo. Più di cento traversate sono state fatte sino ad oggi, e in ciascuna di esse sono stati tracciati un segno e una distanza sul continente. 

Nel 1992 nella Città Aperta venne costruito il Padiglione dei Nomi, per commemorare i quarant’anni della Scuola, e nell’occasione per la prima volta vennero messe in mostra tutte le traversate, elaborando delle carte che potessero rappresentarle nella loro totalità. Ed è un’occasione che segna una nuova tappa per la Scuola, avviando la possibilità di disegnare una nuova carta dell’America in cui poter rappresentare una visione unitaria delle opere realizzate durante le traversate e le relazioni tra queste e il continente, permettendo così di rimisurarlo e di descriverlo non mediante una semplice cartografia geografica, ma attraverso la costruzione di una carta architettonica dell’America: la mappa non è il territorio o per dirlo con Amereida «il cammino non è il cammino»13.

La Città Aperta

Il punto più alto dell’esperienza della Scuola, sta nell’avere realizzato una città che coincide con un’Utopia. E questo può sembrare un paradosso: è possibile trasformare un’Utopia in un luogo concreto? Se il non-luogo dell’Utopia diviene il luogo in cui vita, lavoro e studio si fondono, la risposta è sì: e questo luogo è appunto la «Ciudad Abierta»14. Fondata sulla sabbia, essa si estende in un paesaggio di mare e di colline di circa 300 ettari, a 30 chilometri da Valparaíso. È divisa in due dalla strada che porta al villaggio di Ritoque: 3000 metri di spiaggia fanno da sfondo alle grandi dune del settore occidentale, in cui si trovano una serie di «hospederías» (residenze per gli studenti e i professori costruite intorno all’idea di ospitalità) e altre costruzioni che servono alle attività di lavoro e di riunione, tra le quali la Sala di Musica e il Laboratorio dei Prototipi. Nel settore orientale, situato in una zona collinare più alta, spiccano il cimitero e gli spazi delle «Agorà». Sono questi luoghi collettivi e questi spazi aperti di riunione che rimandano allo spazio originario della città e al senso mitico della sua fondazione; sono essi che conferiscono al paesaggio essenza urbana e che fanno della piccola comunità una Città Aperta. La scelta del luogo non è casuale: il suolo sabbioso, su cui i passi lasciano tracce destinate ad essere presto cancellate, è un paesaggio che muta costantemente la propria topografia, stabilendo un’analogia consapevole col destino delle opere della Città Aperta, di volta in volta effimere o trasformabili come le forme della sabbia. Ma questo paesaggio fluttuante propone insieme un’altra questione: la questione che è propria della creazione e dell’esperienza artistiche, ricominciare sempre daccapo. Per la scuola, infatti, la stessa modernità consiste in un incessante "tornare a non sapere".


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Note: 
1 Valparaíso è una città-porto di grande bellezza e complessità, affacciata sull’Oceano Pacifico. La sua forma è il risultato della sovrapposizione di strutture e tipi architettonici su un insieme di 44 colline che ne definiscono latopografia. È una città di impianto irregolare, nata dal rapporto tra la cultura degli immigrati europei, case, chiese, funicolari, con opere di autocostruzione realizzate con materiali poveri, concorrendo a definire la sagoma dei vari «cerros» (o colline). Artificiale e naturale a Valparaíso si intrecciano, concorrendo a definirne la topografia e costituendo una città che da una parte è un grande anfiteatro, dall’altra un vero e proprio labirinto. 
 2 La Città Aperta, come si vedrà più oltre, è la città utopica e auto-costruita fondata nel 1970 nella quale la scuola si insedia, proponendo un modello di vita, di lavoro e di studio di tipo comunitario. 
 3 Per le pubblicazioni che hanno contribuito a far conoscere la Scuola di Valparaíso al di fuori del contesto sudamericano, si vedano i cenni bibliografici altrove riportati. 
 4 Amereida, come vedremo in seguito, è il poema epico scritto dal gruppo fondatore della Scuola di Valparaíso. Ma diviene anche il nome dato prima alla «Cooperativa di Servizi Professionali Amereida», l’associazione no profit creata dal gruppo nel 1967 per acquistare i terreni e costruire la Città Aperta, e poi alla «Corporazione Culturale Amereida», nuova associazione nella quale la Cooperativa viene trasformata nel 1999. 
 5 Si traduce qui letteralmente il termine castigliano travesía, che sta ad indicare il viaggio d’attraversamento del continente americano, inteso come mare interiore. 
 6 Alberto Cruz, Cooperativa Amereida, Chile, in Laboratorio Latinoamerica, numero monografico di «Zodiac», n.s., n. 8, secondo semestre del 1992, pp. 188-199 
 7 Parola francese che alla lettera significa «falena», «farfalla»,ma in questo caso inteso come un percorso durante il quale si realizza un’azione poetica. 
 8 Friedrich Hölderlin, In lieblicher bläue in Friedrich Hölderlin, Inni e Frammenti, traduzione di Leone Traverso, introduzione di Laura Terreni, Casa Editrice Le Lettere, Firenze 1991. Questa poesia venne pubblicata per la prima volta nel libro «Phaetön» di F.W. Weblinger, una raccolta sulla poesia di Hölderlin, a Stoccarda nel 1823. Oltre cento anni dopo nel 1943, si pubblica un voluminoso compendio sull’opera del poeta nello «Stuttgarter Ausgabe», la poesia citata si trova nel vol. VI, II, 1, p. 372-73. E’ proprio questo volume che viene citato da Martin Heidegger in una conferenza tenuta nel 1951 e pubblicata successivamente con il titolo Poeticamente abita l’uomo nella rivista di poesia «Akzente» , fasc. I, 1954, p.57. 
 9 «Quien sino ella ( la poesia) dice de un origen, pues solo poeticamente se aparece?», in Godofredo Iommi e Escuela de arquitectura de la U.C.V. (Universidad Católica de Valparaíso), Amereida, vol. 1, Editorial Cooperativa Lambda, Santiago1967, p.13. 
 10 Arthur Rimbaud, Illuminazioni, in Arthur Rimbaud, Opere, Einaudi, Torino 1973 e 1990. 
 11 Arthur Rimbaud, Lettera del Veggente, Rimbaud à Paul Demeny, in IDEM, Opere Complete, Einaudi, Torino, 1973 e 1990. 
 12 Godofredo Iommi e Escuela de arquitectura de la U.C.V. (Universidad Católica de Valparaíso), Amereida, vol. 1, Editorial Cooperativa Lambda, Santiago1967, p.49. 
 13 Godofredo Iommi e Escuela de arquitectura de la U.C.V. (Universidad Católica de Valparaíso), Amereida, vol. 1, Editorial Cooperativa Lambda, Santiago1967, p.189. 

 14 La fondazione della Città aperta è la conseguenza dell’impossibilità, da parte dell’Istituto di architettura, di cambiare radicalmente la struttura universitaria: nel 1967 viene respinta la proposta di accomunare vita, studio e lavoro all’interno dell’Università. La Città Aperta viene fondata in un momento successivo, nel 1971, dopo una serie di «atti poetici» finalizzati ad aprire i terreni e a prepararli all’insediamento. François Fédier e gli altri membri francesi della prima traversata, avevano in precedenza proposto come data di fondazione il 20 marzo 1969, centenario della morte di Friedrich Hölderlin.


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https://www.researchgate.net/publication/320382905_La_Scuola_di_Valparaiso_Dalla_costruzione_poetica_dell'architettura_alla_fondazione_della_Citta_aperta


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